Putin e la furia sulla «manica d’incapaci»: ma c’è chi parla di dimissioni| Pechorin   cade da una barca e muore

di Paolo Valentino

Qualche politico locale parla apertamente di dimissioni dello zar

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO – Vladimir Putin è furioso. «Siete una manica di incapaci», avrebbe detto venerdì in una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza ai «siloviki», i capi degli apparati militari e d’intelligence, che lo ascoltavano come scolaretti in silenzio. Lo rivelano attraverso canali Telegram, fonti con accesso diretto ad alcuni membri del massimo organismo strategico russo.

La controffensiva delle forze ucraine nella regione di Kharkiv, che perfino un politologo di provata fede putiniana come Sergeij Markov definisce «una pesante sconfitta militare per la Russia», ha fatto collidere i due mondi paralleli, nei quali lo Zar ha articolato il racconto della guerra sin dal 24 febbraio: la realtà del più grave conflitto armato in Europa negli ultimi 70 anni e la finzione di un Paese dove la vita continua a scorrere tranquilla. «La sconfitta non era un’opzione nell’universo di Putin. Ora è successo», dice Tatiana Stanovaya, direttrice del centro di analisi politiche R.Politik, secondo cui il Cremlino «non era preparato a far fronte al nuovo scenario».

Paradossalmente, il contraccolpo sta avendo conseguenze più a Mosca che fra le truppe al fronte. Secondo Markov, che va preso col beneficio del dubbio perché tradizionalmente vicino ai militari, lo «scompiglio» non sarebbe sul terreno, dove «i comandanti sono riusciti a sottrarre l’esercito all’accerchiamento», quanto nella direzione del Paese: «Questo serio insuccesso significa che bisogna rinunciare alla vecchia strategia e trovarne una nuova. La direzione militare al momento non ha nulla da dire, ma è del tutto evidente che bisognerà lanciare un’escalation delle azioni di guerra. Non si può combattere come si è fatto finora».

Putin al momento tergiversa. Nella riunione del Consiglio di Sicurezza, sbollita l’ira, egli avrebbe chiesto un ritorno alla strategia di guerra iniziale, quella di bombardare a tappeto infrastrutture critiche ucraine con l’obiettivo di provocare il caos e minare l’appoggio fin qui forte della popolazione alla linea della resistenza a oltranza proclamata dal governo. L’attacco del fine settimana alla centrale elettrica di Kharkiv, che per lunghe ore ha lasciato al buio l’intera regione, sarebbe figlio di questa indicazione.

Ma in generale, secondo le fonti, c’è incertezza sul da farsi. Anche un fedelissimo e falco come Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di Sicurezza, avrebbe espresso dubbi sull’idea del presidente, facendo notare che l’esercito ucraino ora dispone grazie agli occidentali di «armi eccellenti», che potrebbero addirittura consentirgli di colpire obiettivi in territorio russo. Fra questi, ci potrebbe essere il ponte di Kerch, che collega la Crimea alla Russia, diventato il simbolo dell’annessione della penisola.

Un altro timore, privo di riscontri ma evocato nell’incontro a porte chiuse, è che gli ucraini sarebbero riusciti a infiltrare decine di gruppi di ricognizione e sabotaggio dentro i confini della Federazione. Anche Markov considera «molto alta» la probabilità che l’esercito di Kiev riesca a occupare parti sia pure piccole di territorio russo. «Sarebbe per loro un colossale successo, soprattutto dal punto di vista psicologico e propagandistico. Non è detto che accadrà, anche perché ci sono degli svantaggi», dice senza spiegare quali.

Ma Putin deve anche affrontare il fronte interno. Markov sostiene che «gli ultimi eventi lo rafforzano, perché nella difficoltà la gente fa quadrato intorno a presidente». In realtà secondo Abbas Gallyanov, ex speechwriter di Putin poi caduto in disgrazia e costretto a lasciare la Russia, «la forza è la sua sola fonte di legittimazione, se viene messa in discussione, anche quest’ultima crolla agli occhi del popolo».

Due episodi segnalano che sotto la crosta della censura e della repressione il malcontento si fa strada: a San Pietroburgo e Mosca due gruppi di eletti locali hanno pubblicamente chiesto le dimissioni di Putin. Nella sua città natale, sette consiglieri comunali hanno scritto una lettera, in cui lo accusano di «tradimento» poiché la guerra in Ucraina «nuoce alla sicurezza della Russia e dei suoi cittadini». Putin, secondo Dmitrij Paliuga, primo firmatario, è responsabile «della morte di russi, del declino economico e dell’allargamento della Nato».

I sette sono stati convocati dalla polizia ma sono stati poi rilasciati. A Mosca invece, alcuni consiglieri della circoscrizione Lomonossov, senza far riferimento alla guerra, chiedono in una lettera a Putin di dimettersi, perché «è dimostrato che i cittadini dei Paesi dove ci sono regolari cambi di potere vivono meglio e più a lungo di quelli dove i dirigenti se ne vanno solo da morti». Al loro appello si sono uniti altri rappresentanti di 18 amministrazioni locali nelle zone di Mosca, San Pietroburgo e Kolpino. Lapalisse non avrebbe detto di meglio. Ma farlo in Russia è un grande atto di coraggio.

13 settembre 2022 (modifica il 13 settembre 2022 | 08:58)

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