Quando Dante descriveva  luoghi in cui non era stato

Caro Aldo,
l’esordio del canto 32 dell’Inferno è contrassegnato dall’invocazione alle muse (verso 10) alle quali chiede aiuto, dovendo affrontare il «loco onde parlare è duro», trattandosi di gente più dannata fra tutte, e lo aiutino nel cammino del nono e ultimo cerchio in cui sono puniti i traditori. L’invocazione «sì che dal fatto il dir non sia diverso» potrebbe benissimo assurgere per gli operatori dell’informazione a «precetto», a principio metodologico per i giornalisti e Dante esser considerato un patrono laico dei giornalisti, di tutti i giornalisti, considerato che Francesco di Sales è il patrono dei giornalisti cattolici.
Eugenio Gallo Cosenza

Caro Eugenio,
Dante è stato, com’è noto, il più grande poeta che l’umanità abbia mai avuto. Ha creato un universo, e si è chinato sul solco delle storie minute. È stato Platone e Shakespeare insieme. Dante è teologo, filosofo, storico, astronomo. Ma, oltre a molte cose tutte più importanti, Dante in effetti è anche un giornalista. Nell’Inferno, subito dopo aver incontrato Ulisse, il poeta trova Guido da Montefeltro, un nobile che gli chiede notizie della sua terra, la Romagna. Dante risponde con una disamina delle città romagnole, che comincia così: «Ravenna sta come stata è molt’anni»; a Ravenna non cambia mai nulla. Torna in mente l’incipit del reportage di Giorgio Bocca da Vigevano: «Fare soldi per fare soldi per fare soldi; se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non ne ho viste». Se deve mettere in scena la valle dell’Arno, Dante crea un bestiario tipo portale di una cattedrale gotica: il fiume nasce in Casentino tra i porci, passa nell’Aretino tra botoli ringhiosi, scorre tra lupi — i fiorentini — e sfocia in mare tra le volpi, i pisani. Ma Dante è stato un reporter talmente bravo da descrivere luoghi che non aveva mai visto. Come la Sicilia, dove non era mai stato, ma che amava perché la considerava la patria della poesia, la culla della lingua. La definisce così la «bella Trinacria», evoca Scilla e Cariddi, quindi lo stretto di Messina, e descrive l’Etna, che definisce Mongibello con l’antico nome arabo con cui ancora adesso i siciliani chiamano il loro vulcano. Non a caso generazioni di pittori hanno tradotto in immagini il viaggio di Dante; da ultimo Mimmo Paladino, in una splendida edizione della Divina Commedia curata da Sergio Risaliti, il direttore del museo del 900 di Firenze.

LE ALTRE LETTERE DI OGGI

L’ingiustizia

«Milano? Ormai è diventata un grande luna park»

Milano è stata storicamente una città a forte impronta lavorativa. Poi si è deciso di intervenire: si è cominciato mettendo mano alla mobilità: sono scomparsi i parcheggi, imbottigliato il traffico per far spazio a piste ciclabili spesso pericolose, creato piazzette tattiche e reso sempre più complesso il movimento di lavoratori, merci, famiglie, anziani, disabili… Poi ci si è concentrati su bar e ristoranti, sottraendo spazi pubblici per concederli ad attività private (prima gratis, poi a costi irrisori). Sono spuntati come funghi dehor in carreggiata, sedie sui marciapiedi, tavolini ovunque. Piano piano stanno chiudendo centinaia di attività commerciali per far posto solo a bar. Si è resa impossibile la vita dei cittadini riversando in strada migliaia di fruitori urlanti giorno e notte. Una delle realtà produttive più avanzate del Paese si è trasformata così in un grande Luna Park. Risultato? Si danneggia la salute dei cittadini, si compromette la sicurezza, si chiudono le attività. Lavorare (se non si è un bar) è sempre più complesso; aumenta fenomeni di criminalità, baby gang e deturpamento cittadino: immobili, monumenti e aree verdi. Milano è per chi vuole divertirsi fino alle 4 di notte, per la criminalità che trova sempre più terreno fertile. Per studenti che poi, finito il percorso formativo, scapperanno altrove in cerca di opportunità (qui c’è lavoro solo per camerieri). Insomma, importiamo improduttività ed esportiamo cervelli. Quando a Milano avremo distrutto vivibilità e tessuto economico, chiuderanno anche i bar per mancanza di clienti.
Comitato MilaNo Degrado e Malamovida www.comitatomilano.it

INVIATECI LE VOSTRE LETTERE

Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.

MARTEDI – IL CURRICULUM

Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino

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MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO

Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai. 

Invia l’offerta

GIOVEDI – L’INGIUSTIZIA

Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica

Segnala il caso

VENERDI -L’AMORE

Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

Racconta la storia

SABATO -L’ADDIO

Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

Invia la lettera

DOMENICA – LA STORIA

Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia. 

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LA FOTO DEL LETTORE

Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.

Inviateci le vostre foto su Instagram all’account @corriere

, 2022-06-15 00:43:00,

Caro Aldo,
l’esordio del canto 32 dell’Inferno è contrassegnato dall’invocazione alle muse (verso 10) alle quali chiede aiuto, dovendo affrontare il «loco onde parlare è duro», trattandosi di gente più dannata fra tutte, e lo aiutino nel cammino del nono e ultimo cerchio in cui sono puniti i traditori. L’invocazione «sì che dal fatto il dir non sia diverso» potrebbe benissimo assurgere per gli operatori dell’informazione a «precetto», a principio metodologico per i giornalisti e Dante esser considerato un patrono laico dei giornalisti, di tutti i giornalisti, considerato che Francesco di Sales è il patrono dei giornalisti cattolici.
Eugenio Gallo Cosenza

Caro Eugenio,
Dante è stato, com’è noto, il più grande poeta che l’umanità abbia mai avuto. Ha creato un universo, e si è chinato sul solco delle storie minute. È stato Platone e Shakespeare insieme. Dante è teologo, filosofo, storico, astronomo. Ma, oltre a molte cose tutte più importanti, Dante in effetti è anche un giornalista. Nell’Inferno, subito dopo aver incontrato Ulisse, il poeta trova Guido da Montefeltro, un nobile che gli chiede notizie della sua terra, la Romagna. Dante risponde con una disamina delle città romagnole, che comincia così: «Ravenna sta come stata è molt’anni»; a Ravenna non cambia mai nulla. Torna in mente l’incipit del reportage di Giorgio Bocca da Vigevano: «Fare soldi per fare soldi per fare soldi; se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non ne ho viste». Se deve mettere in scena la valle dell’Arno, Dante crea un bestiario tipo portale di una cattedrale gotica: il fiume nasce in Casentino tra i porci, passa nell’Aretino tra botoli ringhiosi, scorre tra lupi — i fiorentini — e sfocia in mare tra le volpi, i pisani. Ma Dante è stato un reporter talmente bravo da descrivere luoghi che non aveva mai visto. Come la Sicilia, dove non era mai stato, ma che amava perché la considerava la patria della poesia, la culla della lingua. La definisce così la «bella Trinacria», evoca Scilla e Cariddi, quindi lo stretto di Messina, e descrive l’Etna, che definisce Mongibello con l’antico nome arabo con cui ancora adesso i siciliani chiamano il loro vulcano. Non a caso generazioni di pittori hanno tradotto in immagini il viaggio di Dante; da ultimo Mimmo Paladino, in una splendida edizione della Divina Commedia curata da Sergio Risaliti, il direttore del museo del 900 di Firenze.

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L’ingiustizia

«Milano? Ormai è diventata un grande luna park»

Milano è stata storicamente una città a forte impronta lavorativa. Poi si è deciso di intervenire: si è cominciato mettendo mano alla mobilità: sono scomparsi i parcheggi, imbottigliato il traffico per far spazio a piste ciclabili spesso pericolose, creato piazzette tattiche e reso sempre più complesso il movimento di lavoratori, merci, famiglie, anziani, disabili… Poi ci si è concentrati su bar e ristoranti, sottraendo spazi pubblici per concederli ad attività private (prima gratis, poi a costi irrisori). Sono spuntati come funghi dehor in carreggiata, sedie sui marciapiedi, tavolini ovunque. Piano piano stanno chiudendo centinaia di attività commerciali per far posto solo a bar. Si è resa impossibile la vita dei cittadini riversando in strada migliaia di fruitori urlanti giorno e notte. Una delle realtà produttive più avanzate del Paese si è trasformata così in un grande Luna Park. Risultato? Si danneggia la salute dei cittadini, si compromette la sicurezza, si chiudono le attività. Lavorare (se non si è un bar) è sempre più complesso; aumenta fenomeni di criminalità, baby gang e deturpamento cittadino: immobili, monumenti e aree verdi. Milano è per chi vuole divertirsi fino alle 4 di notte, per la criminalità che trova sempre più terreno fertile. Per studenti che poi, finito il percorso formativo, scapperanno altrove in cerca di opportunità (qui c’è lavoro solo per camerieri). Insomma, importiamo improduttività ed esportiamo cervelli. Quando a Milano avremo distrutto vivibilità e tessuto economico, chiuderanno anche i bar per mancanza di clienti.
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Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita. 

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Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno. 

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, Aldo Cazzullo

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