Continua a tenere banco nel dibattito politico-sindacale il tema del rapporto fra legge e contratto.
La questione non è recente ma neppure troppo vecchia: fino agli inizi degli anni ’90 il problema non si poneva in quanto i contratti di lavoro nel settore pubblico dovevano essere recepiti da un atto avente forza di legge per poter entrare in vigore.
Nel 1992 viene approvata la legge 421 che modifica completamente la stessa “filosofia” del lavoro pubblico che viene “privatizzato” nel senso che si stabilisce che anche il rapporto di pubblico impiego deve uniformarsi alle norme del codice civile.
La legge diventa operativa con l’emanazione del decreto legislativo 29 del 1993 che stabilisce, tra gli altri, un principio importante: le norme di legge che ineriscono il rapporto di pubblico impiego possono essere modificate per via contrattuale, a meno che non riguardino materie che la legge stessa sottrae alla contrattazione (organici, reclutamento, organizzazione degli uffici, incompatibilità con altri impieghi, …).
Ed è così che nell’agosto del 1995 viene sottoscritto il primo contratto del comparto scuola che ispirato alle norme del decreto 29.
Nel 2001 con il Testo Unico sul Pubblico Impiego viene ribadito il principio che i contratti collettivi possono modificare le norme di legge.
Il secondo comma dell’articolo 2 recita: “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro
subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”.
Nel concreto il decreto 165 stabilisce un principio fondamentale: i contratti possono modificare le norme di legge a meno che la legge non stabilisca che una certa norma non può essere modificata.
Nel 2009, il cosiddetto “Decreto Brunetta” introduce una modifica importante stabilendo che le norme di legge possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi “solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge”. Il “decreto Brunetta” modificava anche in modo significativo l’articolo 40 del TU 165/2001 precisando che “nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”.
Le norme volute dal ministro Brunetta furono duramente contestate dalle organizzazioni sindacali che nel 2017 ne ottennero una lieve modifica dalla ministra Marianna Madia che, nel decreto legislativo 75, inserì una nuova formulazione che è quella tuttora in vigore: “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano (o che abbiano introdotto) discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche possono essere derogate (nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell’articolo 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto) da successivi contratti o accordi collettivi nazionali”.
Il 1° comma dell’articolo 40 veniva a sua volta così riscritto: “La contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge”.
Una delle questioni più delicate riguarda proprio la mobilità perché la mancata completa “contrattualizzazione” sta determinando proprio in questi giorni un forte dissenso fra le stesse sigle sindacali: Uil Scuola, infatti, non ha sottoscritto il recente contratto nazionale dichiarando di non poter accettare la mancata cancellazione dei vincoli imposti dalla legge.
Per la verità, però, va detto che il 1° comma dell’articolo 40 del Decreto 165 come modificato all’epoca della ministra Madia sembra chiaro: in materia di mobilità la contrattazione è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge.
E, purtroppo, fu proprio il DL 126 del 2019 approvato all’epoca del ministro Fioramonti che introdusse i vincoli alla mobilità, precisando anche – a scanso di equivoci – che tali norme non si sarebbero potute modificare per via contrattuale.
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