Referendum, primo quesito: politici condannati, duello sulla legge e la tagliola su sindaci e governatori

di Giovanni BianconiScheda rossa: con il sì addio a incandidabilità e decadenza. Nel mirino anche il rigore sugli amministratori locali Dieci anni fa la cosiddetta legge Severino (dal nome dell’allora ministra della Giustizia Paola Severino, che ne fu promotrice) fu approvata dall’ampia maggioranza che sosteneva il governo Monti, compreso il centro-destra che all’epoca faceva riferimento al Popolo della libertà, in cui erano confluiti Forza Italia e Alleanza nazionale. Si trattava di nuove norme anticorruzione, scritte e votate in risposta agli scandali che continuavano ad alimentare le cronache giudiziarie e politiche. Tra queste, alcune deleghe al governo per varare misure preventive e deterrenti in grado di incentivare correttezza e trasparenza nella pubblica amministrazione. Nacque così il decreto legislativo 235 del 2012, entrato in vigore il 31 dicembre di quell’anno, di cui il referendum numero 1 (scheda rossa) propone l’abrogazione integrale. I punti più critici e criticati del provvedimento sono essenzialmente due. Il primo è l’incandidabilità e il divieto di ricoprire incarichi di governo (o la decadenza se già in carica) di coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per reati di mafia e terrorismo o contro la pubblica amministrazione, e più in generale per i delitti non colposi puniti con almeno quattro anni di pena; una regola valida anche per i procedimenti avviati prima dell’approvazione della legge. Il secondo punto riguarda gli amministratori locali per i quali è prevista la sospensione dalla carica, fino a 18 mesi, anche dopo una condanna non ancora definitiva. Una disparità di trattamento giustificata con la necessità di maggior rigore in realtà territoriali più circoscritte, ma anche perché si tratta di incarichi di diretta gestione della cosa pubblica come quelli di governatori, sindaci o assessori. Sulla base della legge Severino il Senato votò, nel 2013, la decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica di senatore all’indomani della condanna per frode fiscale in Cassazione; solo nel 2019 l’ex premier poté essere eletto al Parlamento europeo a seguito della riabilitazione ottenuta a pena scontata. La retroattività della norma è stata considerata legittima trattandosi di sanzioni amministrative e non penali. Così ha stabilito la Corte costituzionale, quando l’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris si oppose alla sospensione per via di un abuso d’ufficio (dal quale poi fu assolto in appello) commesso prima che la norma fosse entrata in vigore. La stessa Consulta ha «promosso» l’interruzione del mandato a livello locale dopo una condanna non definitiva, sia alla luce della Costituzione che della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il legislatore può porre limiti discrezionali all’elettorato passivo, tanto più quando mirano a «garantire l’integrità del processo democratico, nonché la trasparenza e la tutela dell’immagine dell’amministrazione». Tuttavia molti ritengono oggi che disarcionare un sindaco o un assessore dopo una condanna ancora sub judice sia una «criticità». Lo stesso Pd (schierato per il No al referendum che abolisce anche la decadenza dei condannati definitivi) ha presentato una proposta di legge per rivedere questa parte del decreto. 8 giugno 2022 (modifica il 8 giugno 2022 | 22:40) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-08 20:41:00, Scheda rossa: con il sì addio a incandidabilità e decadenza. Nel mirino anche il rigore sugli amministratori locali, Giovanni Bianconi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version