La Regina Elisabetta e il rock, storia di un rapporto controverso: dall’idillio coi Beatles agli insulti dei Sex Pistols

di Matteo Cruccu

La monarca fu abile a intercettare il cambiamento del gusto coi Fab Four, ma divenne poi il bersaglio preferito della contestazione punk. Per finire da «pluricelebrata»

Quel 26 ottobre del 1965 sembrò che astri apparentemente lontanissimi si fossero magicamente allineati: la carica eversiva e nel costume e nella musica di cui si erano fatti portatori i Beatles si incontravano con la campionessa della tradizione britannica, l’establishment definito, l’appena scomparsa Regina Elisabetta. I quattro di Liverpool diventati baronetti sancivano l’ascesa del pop d’Inghilterra tra i principali prodotti di esportazione di colà, il carbone, il té, il tweed. Perché la fresca «nobiltà» dei quattro non era da ascrivere a un impazzimento musicale della regina (dai gusti peraltro molto classici, secondo quanto riportano le cronache di Buckingham Palace), ma a un razionale calcolo da ragioniere: i Beatles e e la nuova musica inglese riportavano, a loro modo, l’isola al centro della scena mondiale, fino ad allora, dopo la fine della seconda guerra, dominata dagli Stati Uniti.

Quella foto con l’onorificenza bella in mostra davanti ai cancelli del palazzo reale è l’immagine simbolo dei rapporti tra la Regina e la musica leggera. Che, al di là di questo connubio ideale coi Beatles, non è sempre stato all’insegna del vogliamoci bene. Se i quattro in risposta al titolo le regalarono la semiseria «Her Majesty» ( «a pretty nice girl/ but she doesn’t have a lot to say»), i rapporti tra Elisabetta e i loro maggiori dirimpettai, i Rolling Stones, non è stato altrettanto proficuo. Si dice che la monarca non abbia mai voluto vedere nemmeno da vicino Mick Jagger, accusato di aver avuto relazioni equivoche con la travagliata sorella Margaret. E loro l’avrebbero altrettanto ignorata negli anni.

Ma la più grande provocazione è sicuramente «God Save the Queen», l’inno ferocemente antimonarchico dei Sex Pistols, fatto uscire proprio nel giorno in cui Elisabetta II avrebbe festeggiato il Silver Jubilee, i 25 anni di regno. È l’idillio degli anni’60 che termina brutalmente con la crisi economica e la disoccupazione galoppante del decennio successivo, con il classismo dominante che vuole l’operaio figlio di operai. Per sempre. I Sex Pistols e il punk in generale si ribellano a questo dogma e la Regina che di quel classismo è, per loro, la rappresentazione più plastica, diventa il primo bersaglio.

Un amore che non risorgerà nel decennio successivo (gli Smiths arriveranno addirittura ad immaginarsi una Regina, precocemente, morta in «The Queen is Dead») , dove semmai sarà Lady Diana, appassionata di fatto e non solo di forma, ad avere rapporti con le popstar e andare ai loro concerti. Finite le turbolenze di natura sociopolitica, negli ultimi trent’anni, il rapporto tra la monarca e l’entertainment musicale britannico inizierà a scorrere sui binari del puro «celebrativo», con la parata di nuove e vecchie glorie ai vari giubilei e similanniversari. E si preoccuperà di smentire i «nemici» Pistols, peraltro diventati piuttosto amichevoli, visto che il frontman Johnny Rotten ha più volte ammesso di essersi pentito dei suoi furori di gioventù: «No future for you» avevano sibilato, ma quel «futuro» è durato ancora la bellezza di quasi mezzo secolo.

8 settembre 2022 (modifica il 8 settembre 2022 | 22:37)

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, 2022-09-08 20:37:00, La monarca fu abile a intercettare il cambiamento del gusto coi Fab Four, ma divenne poi il bersaglio preferito della contestazione punk. Per finire da «pluricelebrata», Matteo Cruccu

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