di Francesco Verderami
Prima le liti, poi l’intesa. Gli staff:«Ci vuole tanta pazienza con loro». Il leader di Italia Viva: «Dobbiamo essere pronti a rappresentare l’area macroniana in Italia »
Come due viaggiatori costretti a cambiare itinerario, Carlo Calenda e Matteo Renzi si ritrovano oggi sullo stesso volo last minute, nonostante avessero programmato destinazioni diverse. Ed è questa narrazione che il leader di Azione e il capo di Italia Viva dovranno far dimenticare in campagna elettorale, sapendo che gli avversari ricorderanno la loro inconciliabilità (anche caratteriale) per additarli come i fautori di un patto di necessità e senza prospettiva. Ma se è vero che sembrano due galli finiti loro malgrado nello stesso pollaio, è altrettanto vero che su una cosa non potranno mai litigare: sulle idee, sulle linee programmatiche, sulla visione del Paese. Perché la pensano allo stesso modo. Fin da quando stavano al governo insieme e ovviamente si accapigliavano nelle discussioni. «Perché tu, Carlo, non capisci un (bip) di politica». «E tu, Matteo, non capisci un (bip) di economia».
Ora la prima scommessa sarà capire come supereranno la quota di sbarramento nelle urne. La seconda, se dopo le elezioni resteranno insieme in Parlamento. La terza, se avranno la forza di realizzare il loro disegno: scardinare gli equilibri di un sistema che non è già più bipolare. Potenzialmente sono un ordigno a orologeria piazzato sotto Forza Italia e il Pd. Agli azzurri hanno sottratto due ministri, ai democratici i voti di un pezzetto di classe dirigente che sta per annunciare di non sentirsi più rappresentato «da un partito dove si parla solo di sinistra e non più di centro». Ma convincere l’opinione pubblica a votarli in nome di una nuova casa del riformismo sarà un’altra cosa, per quanto i sondaggi li accreditino fino al 10% .
Il grazie e prego di queste ore tra Calenda e Renzi non inganni. Tra i dirigenti che hanno assistito alla trattativa tra i due, c’è ancora chi deve riprendersi: «Ci vuole tanta pazienza con loro…». Prima la guerra psicologica sul simbolo elettorale, poi le voci messe in giro ad arte su un leader al femminile e infine il braccio di ferro sui collegi. Non si contano le volte in cui l’uno ha detto all’altro: «Carlo, chiudiamola qui». «Per una volta ti do ragione, Matteo. Non si può fare». Ma la politica ha le sue regole, che non sono solo legate a ragioni di bottega, come la storia che Azione non avesse le firme per presentare le liste: «E tu non le hai, non ci prendiamo per il (bip)», ha urlato Renzi a Calenda.
Il punto è che uno spazio da conquistare potrebbe anche esserci «e questa intesa — spiega il leader di Italia Viva — non è il gioco delle coppie ma un seme gettato in un campo incolto». Chi è chiamato al ruolo di front runner, cioè Calenda, si dice «certo di arrivare al dieci per cento» per impedire a Giorgia Meloni di entrare a Palazzo Chigi. Chi ha deciso di fare un passo di lato, cioè Renzi, guarda già alle situazioni di breve medio e lungo periodo: al ruolo iniziale di opposizione e al momento in cui «fra un paio di anni ci sarà da far cadere un governo per tenersi in forma». Questo tema è oggetto di continui messaggi con Meloni, che oppone alle frecciate del fiorentino salaci risposte in romanesco.
Lo scambio «epistolare» — al di là delle gustose battute — è rivelatore di come i partiti già guardino alle mosse successive. Renzi, per esempio, ritiene che «di qui a pochi mesi il dibattito si polarizzerà nelle famiglie europee, FdI entrerà nell’orbita del Ppe, e noi dovremo essere pronti a rappresentare l’area macroniana in Italia. Perciò mi sono battuto con Calenda perché Renew Europe fosse nel simbolo». Questo sguardo proiettato così avanti è il segno che leader politici di provenienza politica si rimpossessano della politica. È vero, Azione e Italia Viva si apprestano a chiedere il voto teorizzando il ritorno del messia-tecnico a Palazzo Chigi, cioè Mario Draghi. E non si sa se i due sono suoi autentici discepoli o se sfruttano quel nome per conquistare consensi.
Ma se c’è un’area che oggi può rivendicare l’agenda del premier, questa è il terzo polo. Non il centrodestra, visto che Salvini e Berlusconi hanno lasciato le loro impronte sulla crisi di governo . E nemmeno la sinistra, dato che il Pd ha scelto di allearsi con chi non ha mai votato la fiducia alle larghe intese. Calenda e Renzi potranno essere un flop di cui nessuno parlerà più dal 26 settembre o potranno rivelarsi una novità politica con cui tutti dovranno fare i conti. Dipenderà prima dall’appeal che susciteranno nell’elettorato con le loro proposte e poi dalle capacità manovriere in Parlamento. Non dovevano andare insieme, «è stato il segretario del Pd a unirli», dice Ettore Rosato: «Forse avremmo dovuto ricordarlo nel simbolo con un “Grazie Enrico”». Storie tese.
12 agosto 2022 (modifica il 12 agosto 2022 | 07:19)
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, 2022-08-12 05:19:00, Prima le liti, poi l’intesa. Gli staff:«Ci vuole tanta pazienza con loro». Il leader di Italia Viva: «Dobbiamo essere pronti a rappresentare l’area macroniana in Italia», Francesco Verderami