Rimini, i giovani del fare. Don Claudio Burgio: «Basta dittatura del profitto»

di Paolo Foschini

Il fondatore-presidente della comunità Kayros tra i protagonisti del tradizionale Meeting: «Ogni crisi è inizio di cose che si aprono e porta con sé un segno di speranza». Gheno, Cdo Opere Sociali: «L’emergenza non si è affievolita»

Uno: la credibilità del «fare» anziché quella del «dire». Due: l’importanza però di «ascoltare». Tre: la necessità urgente di una «cultura vera e diversa» rispetto alla «unica cultura che l’Occidente adulto sa proporre oggi, del profitto e del possesso». Quattro, soprattutto: «Non esistono ragazzi cattivi». Sono alcuni degli spunti che don Claudio Burgio butta lì, giusto come inizio, per provare a sintetizzare lo sconfinato tema attorno a cui ruota il tradizionale Meeting di Cl che si svolge in questi giorni a Rimini. Tornato quest’anno tutto «in presenza», con un titolo che nella forma è una citazione del fondatore don Luigi Giussani – «Una passione per l’uomo» – e nella sostanza raccoglie tantissimi degli interventi in programma dentro il denominatore comune di una parola e un concetto: i giovani.

Del resto «i giovani», oltre a rappresentare quest’anno un tema portante, sono da sempre per il Meeting un «fatto» fisico costitutivo. Che in questa edizione forse è ancora più visibile: la maggior parte dei 2600 volontari impegnati a farlo funzionare ha meno di 30 anni, uno degli eventi più importanti come la mostra su Fernando Pessoa è stata interamente realizzata da studenti universitari di Lisbona, e poi il grande concerto dell’altro giorno con l’Orchestra nazionale giovanile Sinopoli tutta costruita sul «Metodo Abreu», e un «Villaggio dei ragazzi» da 2500 metri quadri con decine di eventi, poi il calendario fitto di incontri nazionali e internazionali sui mondi della scuola e dell’educazione, in un elenco di collaborazioni che comprende il Festival dell’innovazione scolastica di Valdobbiadene, i Colloqui Fiorentini, e ancora Disal, Diesse, CdO Opere Educative, associazioni come Il Rischio Educativo, e la lista sarebbe ancora molto lunga.

«Giovani» è una parola di cui don Claudio si intende abbastanza. La quarta frase citata sopra è quella che si trova all’entrata della comunità Kayros di Vimodrone, a nord di Milano, da lui fondata per accogliere ragazzi con guai familiari o giudiziari simili a quelli coi quali peraltro si confronta ogni giorno nel carcere minorile Beccaria di cui da anni è cappellano. A Rimini è stato protagonista dell’incontro con la psicologa Daniela Lucangeli su «La fatica di essere giovani». Sullo sfondo una questione talmente dibattuta, quella della «emergenza educativa», da non sapere più neanche da quanto se ne parla.

«In effetti – dice don Claudio sorridendo – se si risalgono a memoria gli ultimi decenni è difficile ricordare un momento in cui gli adulti non dicessero che c’era una emergenza educativa. D’altra parte però vorrei anche ribaltare il concetto. Normalmente si dice emergenza nel senso di allarme. Ma emergenza, letteralmente, significa far emergere. In particolare ciò che non sappiamo o non vogliamo vedere. I passaggi da una generazione all’altra hanno sempre comportato una crisi. Ma ogni crisi è anche inizio di qualcosa che si apre, quindi speranza».

Questo ovviamente non significa minimizzare il problema. E infatti Stefano Gheno, presidente di CdO Opere Sociali intervenuto al Meeting proprio accanto a don Claudio, è il primo a precisare: «Certo è che con il passare del tempo questa emergenza non si è affievolita, anzi». E il presidente di Fondazione Meeting, Bernhard Scholz, ha ricordato che esattamente «la passione educativa è il fattore più incisivo sul futuro della cultura, dell’economia, della politica».

Che fare dunque? Don Claudio propone un primo punto: «È quello dell’apertura alla diversità e al molteplice, anche in materia religiosa. Si parla tanto di dialogo ma siamo ancora molto lontani dall’averne anche solo la formazione. Continuiamo a ragionare per etichette, anche rispetto al tema delle seconde generazioni. È la realtà, ma non sappiamo affrontarla. E quando c’è l’incapacità di affrontare la realtà da parte degli adulti i giovani si ritrovano totalmente allo sbando».

E ancora: «Secondo, il problema culturale che per me è centrale. Oggi la dittatura è quella del profitto e del possesso, la sola realizzazione che conta è quella basata sui soldi e sul risultato. Sparita la cultura della relazione e del donarsi, chiaramente al netto delle meravigliose esperienze che tutti conosciamo e possiamo citare. E se questo è il modello che proponiamo ai giovani non possiamo stupirci delle conseguenze: comprese quelle che si trasformano in atti di violenza».

Terzo, come si diceva, la rivalutazione dell’idea di crisi: «E anche la Chiesa – dice don Claudio – su questo non deve avere paura. Perché in crisi la Chiesa ci è sempre andata, fin dai primi apostoli. Ma ha sempre saputo guardare avanti. Oggi invece il suo linguaggio non arriva più. Gli stessi oratori troppo spesso vengono pensati come luoghi protetti, per la tranquillità se non l’autocompiacimento delle famiglie. Se vogliamo incontrare i giovani invece dobbiamo andare là fuori a cercarli. La chiusura genera solo fondamentalismi. Che non sono mai sani».

E qui arriviamo all’altra cosa importante: l’ascolto. «Perché come sempre da quando esiste il mondo – dice don Claudio con un altro sorriso infinito – i giovani sono più avanti. Si tratta di saperli e volerli ascoltare. Ma da dentro, non dall’alto. Se c’è una responsabilità che si può imputare all’attuale generazione adulta è la sua assenza, l’incapacità di “stare con” i giovani e di interessarsi delle loro cose. Un esempio è una musica come la trap: che, quella sì, ha conquistato anche gli oratori, eppure gli adulti non ne sanno nulla».

Anche di musica don Claudio se ne intende, essendo stato per tanti anni Maestro di Cappella del Duomo di Milano: «La trap potrà non piacere, ma racconta la realtà. Senza la retorica edulcorante e protettiva degli adulti che hanno paura di parlare di tutto ciò che può disturbare o ferire. I giovani hanno occhi più aperti dei nostri. Tutti eravamo ambientalisti a parole, ma chi ha dato una frustata al mondo è stata Greta. Loro, ripeto, sono più avanti. Ma non è vero che non cerchino punti di riferimento. Certo, non riconoscono l’autorità di chi la esprime solo come esercizio di potere. Con violenza uguale e contraria, se posso dirlo, a quella che viene loro contestata».

Ce n’è una che invece riconoscono? «Sicuro: l’autorità che viene dalla testimonianza. Dal fare, appunto, più che dal dire. Dalle figure magari non perfette ma autentiche. In cui vedono buone pratiche, non belle teorie». Pratiche come le tante che in questi giorni, di fatto, vengono condivise nel programma del Meeting: «Convinti anche noi – conclude Gheno – che le buone notizie sono spesso meglio delle migliori analisi».

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23 agosto 2022 (modifica il 24 agosto 2022 | 05:44)

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, 2022-08-24 03:45:00, Il fondatore-presidente della comunità Kayros tra i protagonisti del tradizionale Meeting: «Ogni crisi è inizio di cose che si aprono e porta con sé un segno di speranza». Gheno, Cdo Opere Sociali: «L’emergenza non si è affievolita» , Paolo Foschini

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