Ritrovati in Oregon pezzi del relitto che ispirò il film «I Goonies»

di Irene Soave

Le ricerche sono durate 16 anni e gli esami al radiocarbonio lo hanno confermato: le travi trovate al largo di Nehalem Bay appartengono alla Santo Cristo de Burgos, nave spagnola salpata da Manila e inghiottita dall’Oceano Pacifico nel 1693

Più che un vascello fantasma, un vascello-Araba Fenice: «che ci sia, ciascun lo dice», ma nessun sapeva dove fossero i resti della Santo Cristo de Burgos, galeone secentesco spagnolo partito da Manila e svanito nel Pacifico più di tre secoli fa con il suo esotico carico di porcellane da tè e seta cinese, piastrelle azulejos e blocchi di cera d’api. Almeno fino a oggi. Ora un gruppo di archeologi marini e ricercatori sembra nutrire la ragionevole certezza che i sedici grandi resti di legno ritrovati su una spiaggia dell’Oregon, alla foce del fiume Nehalem e a 11 mila chilometri dal porto di Manila dove la nave si era imbarcata, siano ciò che ne resta.

Il ritrovamento emoziona soprattutto i (molti) fan dei Goonies , blockbuster del 1985 da un soggetto di Steven Spielberg in cui un gruppo di ragazzini, proprio in Oregon, dà la caccia al tesoro di un vascello secentesco, affondato non lontano. La nave del film, la «Inferno», fu costruita apposta per le riprese e poi distrutta, anche se funzionante, per mancanza di armatori; la Santo Cristo de Burgos, poi ribattezzata Beeswax Wreck, cioè «relitto della cera d’api», ha avuto una vicenda ammantata di molti più misteri.

L’ambientazione in Oregon del film non era casuale. Sulle spiagge della zona di Nehalem Bay, a 65 chilometri da Astoria dove le avventure dei Goonies si svolgevano, da molto tempo l’oceano porta a riva pezzi di piastrelle bianche e azzurre o morsi di cera d’api. Tanto che è almeno dal 2006 che un’équipe di specialisti ora coordinati da Search Inc., una agenzia culturale locale, lavora per ritrovare ciò che resta del galeone. Il primo a interessarsene, allora, era stato l’archeologo Scott Williams, del Dipartimento dei trasporti dello Stato di Washington, incuriosito da una conversazione di due amici riguardo a un misterioso vascello. Lo fu a tal punto che, con altri ricercatori, fondò una «Società di archeologia marittima» apposta per studiare i frammenti di porcellana e i blocchi di cera emersi nei decenni. I sigilli sulla cera non lasciavano dubbi: era merce spagnola. I galeoni possibili, scomparsi tra Manila e Acapulco nel periodo cui l’analisi del carbonio dei reperti rimandava, cioè tra il 1650 e il 1750, non erano che due: il Santo Cristo de Burgos, svanito nel 1693, o il San Francisco Xavier, scomparso nel 1705. Il secondo è stato poi scartato: i resti provenivano da una zona sedimentata dopo uno tsunami che ebbe luogo nel 1700. Erano dunque affondati prima. Molto tempo è stato impiegato poi a smentire una nozione errata degli storici: che il Santo Cristo fosse bruciato. Ma gli archivi navali spagnoli parlano di «sparizione». Infine, due anni di pandemia hanno rallentato un processo già lento per lo scetticismo dei ricercatori.

Un pescatore, oggi 49enne, di nome Craig Andes e grande fan dei Goonies , è stato a lungo ignorato dalla stessa Società quando ha ipotizzato che le sedici travi di legno che sporgevano dall’acqua, conficcate in una grotta a Nehalem Bay, venissero dal relitto. Nessuno credeva che quelle travi, così ben conservate, fossero state a mollo in acqua salata per 300 anni. Ma la zona alla foce del Nehalem è poco salina; e il radiocarbonio non ha lasciato dubbi. Le travi sono state recuperate a giugno, in un’impresa a sua volta rocambolesca (pesano 136 chili). Ora, ha comunicato la Società, saranno messe a disposizione degli studiosi di galeoni di tutto il mondo. E in futuro, chissà, dei fan dei Goonies.

13 luglio 2022 (modifica il 13 luglio 2022 | 23:03)

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, 2022-07-13 21:04:00, Le ricerche sono durate 16 anni e gli esami al radiocarbonio lo hanno confermato: le travi trovate al largo di Nehalem Bay appartengono alla Santo Cristo de Burgos, nave spagnola salpata da Manila e inghiottita dall’Oceano Pacifico nel 1693, Irene Soave

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