Ruth Slenczynska, la pianista di 97 anni (che suona da 93): «Il mio segreto? Gli incoraggiamenti dei miei allievi»

di Valerio Cappelli

È stata l’ultima allieva di Rachmaninov e ha suonato per quattro presidenti americani. Ha appena inciso un cd, My life in music. «Ho debuttato a sei anni. Non ho mai avuto una adolescenza»

«Sono nata a Sacramento, in California, da genitori polacchi, e sono fiera delle mie radici slave». Ruth Slenczynska ha debuttato in recital all’età di 4 anni, e dopo 93 anni è ancora qui che suona. E’ stata l’ultima allieva di Rachmaninov, ha suonato per quattro presidenti USA. E ha appena inciso un cd, My life in music. E’ minuta, un po’ ricurva, ha i capelli bianchi corti e gli occhiali; è molto lucida e piena di energia.

Cominciamo da Rachmaninov?

«Beh, a lui mi legano lezioni e tante tazze di tè. Conservo un suo regalo magnifico, un braccialetto con un uovo di Fabergé in miniatura. Le racconto come ci siamo conosciuti. Io ero molto giovane, lui dovette cancellare un concerto per problemi al gomito, il suo manager non voleva perdere il compenso così contattò mio padre chiedendo se potevo suonare al suo posto. Fu un bel successo e Rachmaninov mi volle incontrare. Ero nervosa, mio padre mi spinse in stanza con il compositore che cercò di allentare la mia tensione mostrandomi una foto mentre era nella sua barca su un lago. Mi disse che gli piaceva correre come un pazzo sull’acqua, e di tornare che mi avrebbe dato lezioni».

Cosa la tiene così attiva?

«Guardi che io non mi sento affatto una sopravvissuta. Ma direi l’incoraggiamento e l’affetto di amici e dei miei vecchi studenti. Più dai agli altri, più l’attenzione ti torna indietro. E’ questo che fa girare il mondo, dare gioia e nutrire la creatività».

Come ha reagito quando la Decca le ha chiesto di registrare un cd, 60anni dopo quello precedente?

«Sono rimasta molto sorpresa…Alla mia età! Il mio primo disco per loro risale al 1956».

Lei si è esibita per diversi presidenti americani.

«All’epoca del concerto per Hoover avevo 5 anni, poi Truman con cui ho suonato un pezzo per quattro mani, all’insediamento di J.F: Kennedy, per Reagan, l’unico repubblicano per cui ho votato, ricordo che sua moglie Nancy si raccomandò di parlare forte perché il marito aveva problemi di udito. Infine Carter, mia sorella lavorava per lui in Georgia, quando divenne presidente le disse che con una certa sfrontatezza che doveva invitarmi a suonare. Con Truman fu elettrizzante. Dovevo suonare nella Sala della Costituzione a Washington. Mi squillò il telefono di casa, una voce misteriosa mi disse che di lì a poco sarebbe venuta a prelevarmi un’auto del governo, aggiungendo di non potermi dare ulteriori informazioni e di non fare domande. Quando l’auto imboccò l’ingresso della Casa Bianca restai di sasso. Noi musicisti siamo abituati a entrare dall’ingresso laterale degli artisti…Mi ritrovai tra marines in alta uniforme, camminavo da un salone all’altro, non sapevo dove guardare. Si aprì una porta e mi venne incontro il presidente degli Stati Uniti. Mi disse: dobbiamo allenarci, non abbiamo troppo tempo. Suonammo l’Adagio di una Sonata di Mozart. E non era affatto male come pianista. Ho fatto un recital di beneficenza per Michelle Obama, aveva saputo che avevo tenuto un recital di beneficenza a favore di un college di neri nel Mid-West. Tra i grandi della Terra suonai insieme a Michiko, che fu imperatrice, la consorte dall’89 al 2019 dell’imperatore Akihito. Fu la prima cittadina comune a sposare un membro della famiglia imperiale in Giappone. Aveva letto che avevo un bel suono ma non spettacolare. Allora suonai lo Studio n 4 di Liszt e lei si avvicinò alla tastiera fino a sfiorarmi, voleva vedere meglio le mie mani che andavano dappertutto».

Nel 1989 ha suonato al funerale di Horowitz.

«Era un amico. Quando ascoltò il mio disco sugli Studi di Chopin mi invitò a casa sua, era curioso di sapere come avessi manipolato alcuni passaggi. Mi parlava in francese ai party con sua moglie, mentre giocava a carte con gli amici».

Come fu la sua adolescenza?

«Non ne ho mai avuta una, non sono mai stata bambina. Mio padre era un tiranno e mi ha spinto a diventare musicista a ogni costo, mi vedeva come una macchina per far soldi, mi inseguiva con la sua…bacchetta magica, per picchiarmi se non l’avessi assecondato. Mi obbligava a suonare Chopin ogni giorno prima di fare colazione».

Cosa ricorda del suo debutto?

«Avevo 6 anni, ero a Berlino. Il direttore del teatro a fine recital voleva regalarmi una bella bambola, mio padre salì sul palco e disse: state lontani con quella bambola. Non me la fece nemmeno toccare».

Un pianista è come un atleta, ci sono aspetti fisici e tecnici che non si possono ignorare…

«Si riferisce all’elasticità? Non ho mai avuto problemi con i tendini perché mi alleno in maniera metodica e sistematica, all’inizio lentamente, poi aumento e potenzio lo studio».

Com’è cambiata la musica?

«Oggi la fretta è il grande male. Si apprende in così poco tempo che non si ha modo di andare in profondità».

Come ha scelto i brani del cd?

«Sono quelli che mi riportano a persone incontrate nella mia vita. Samuel Barber, che era mio compagno di studi e amico, una volta mi disse: devi far sentire la bellezza della musica e non mostrare quanto diavolo sei brava. Quando suono Chopin ricordo le lezioni di Cortot; Bach mi riporta a Schnabel che era così meticoloso…».

Quali pianisti ammira?

«Kissin, Primakov, Thibaudet e Yuja Wang».

Come passa le giornate?

«Leggendo e facendo passeggiate».

Ha rimpianti?

«Guardo avanti, mai indietro».

Cosa sogna?

«Sogno ogni giorno».

23 aprile 2022 (modifica il 23 aprile 2022 | 21:41)

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, 2022-04-23 19:47:00, È stata l’ultima allieva di Rachmaninov e ha suonato per quattro presidenti americani. Ha appena inciso un cd, My life in music. «Ho debuttato a sei anni. Non ho mai avuto una adolescenza» , Valerio Cappelli

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