Safran Foer: «Una famiglia ucraina salvò mio nonno ebreo. A loro devo la vita»

di Alessia RastelliLo scrittore americano: «Sono in debito con quel Paese, sento una responsabilità. Zelensky sta dimostrando che un uomo da solo può scuotere il mondo. Il paragone tra Hitler e Putin mi sembra opportuno: ci ricorda cosa può accadere»

«Stiamo affrontando un test su chi siamo, sulla nostra civiltà. Per ora la reazione c’è, è forte e va nella giusta direzione, bisognerà vedere se durerà». Parla dalla casa di Brooklyn, collegato via Zoom, lo scrittore americano Jonathan Safran Foer. I suoi nonni materni, emigrati negli Stati Uniti nel 1949, venivano entrambi da due villaggi dell’attuale Ucraina occidentale e furono gli unici sopravvissuti alla Shoah delle rispettive famiglie. Un’esperienza alla base del bestseller del 2002 Ogni cosa è illuminata (Guanda), nato dal viaggio che lo stesso scrittore affrontò in Ucraina alla ricerca di informazioni sulla vicenda del nonno ebreo e di chi lo salvò dallo sterminio nazista.

Che effetto le fa la guerra di oggi?
«La storia che mi raccontava mia nonna sull’Ucraina parlava di collaborazionismo con i nazisti e di quando, dopo la guerra, lei tornò lì e le consigliarono di andarsene perché era un posto ancora pericoloso per gli ebrei. Ma la realtà è complessa. Mio nonno, infatti, fu nascosto da una famiglia ucraina: persone che misero a rischio la loro stessa vita e alle quali, letteralmente, devo la mia. Quindi ho un debito enorme con gli ucraini. Sia io sia mia madre sentiamo una grande responsabilità verso di loro. La nostra vicenda mostra che bisogna sempre stare attenti alle semplificazioni. Dobbiamo ricordarlo anche quando parliamo dei russi».

Che cosa intende esattamente?
«Il male è incarnato da Vladimir Putin e dai suoi fiancheggiatori, i suoi oligarchi, non dai russi in generale. Tutte le popolazioni vogliono sicurezza, salute, la possibilità di inseguire la felicità. Il cittadino comune russo non ha accesso alle informazioni, vive in uno Stato autoritario, corre rischi altissimi se esce a manifestare. E in ogni caso non basterebbero cento, mille, diecimila russi che protestano, ce ne vorrebbero milioni. Sarebbe questo forse l’unico esito meno drammatico, se così si può dire, di una tragedia che si sta già consumando. E noi dovremmo in tal caso supportarli».

Come pensa di incanalare la responsabilità che sente verso l’Ucraina?
«Conosco persone coinvolte in prima linea negli aiuti e voglio capire con loro che cosa è bene fare: se ha senso ad esempio andare in Polonia e dare una mano nell’accoglienza dei rifugiati o se è meglio inviare soldi alle organizzazioni. Se invece si vuole narrare quanto sta accadendo, nessuno, neppure uno scrittore, saprà farlo meglio di Volodymyr Zelensky».

Che cosa pensa del presidente ucraino?
«Ha fatto capire, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la potenza della comunicazione. È stato magistrale quando si è mostrato nel video fai-da-te con i suoi ministri, dicendo semplicemente “Siamo qui”. E non credo che i Paesi dell’Ue sarebbero stati tutti pronti a sanzioni severe o a escludere alcune delle principiali banche russe dal sistema Swift senza il discorso di Zelensky al Parlamento europeo. Da anni mi occupo della crisi climatica e, per quanto il contesto sia diverso, vedo un’analogia tra lui e Greta Thunberg: entrambi mostrano che anche un singolo individuo può risvegliare la coscienza di una cultura. La persona giusta, al momento giusto, riesce a scuotere il mondo. Troppo facilmente dimentichiamo che gli eroi possono esistere, che siamo capaci di crederci. E che ne abbiamo bisogno».

Putin ha sostenuto che serve «denazificare l’Ucraina». Ma Zelensky è ebreo e ha fatto appello agli ebrei di tutto il mondo a «non rimanere in silenzio».
«Il leader russo è grottesco. Mentre il fatto che Zelensky sia ebreo dal mio punto di vista è meraviglioso. Spesso per gli ebrei si parla di doppia lealtà. “È italiano, è americano — si dice — ma è essenzialmente ebreo”, fino ad arrivare a pensare che non siamo davvero italiani o americani. Beh, è indubbio che non ci sia nessuno più leale all’Ucraina di Zelensky, nessuno a cui stia più a cuore proteggere il suo Paese e i suoi connazionali».

Nelle piazze contro la guerra Putin viene spesso paragonato ad Adolf Hitler. Che cosa ne pensa?
«Di solito mi oppongo a questo tipo di comparazioni, tuttavia in questo caso credo sia opportuno. Certamente ci sono più differenze che somiglianze tra le due situazioni, ma c’è un aspetto utile nel richiamo a Hitler: ci ricorda cosa può accadere. La mente tende a rifugiarsi nel pensiero che andrà tutto bene, ma se hai a che fare con una figura come Putin, se qualcuno con il suo potere si comporta come lui, devi essere pronto allo scenario peggiore. E la storia può essere maestra».

Il primo marzo, nel discorso sullo stato dell’Unione il presidente americano Joe Biden ha parlato di «un’Europa più unita e di un Occidente più unito». È d’accordo?
«Sì, Putin è stato miope e ha ottenuto l’effetto opposto a quanto avrebbe voluto. Vivendo in un mondo con le armi nucleari, è chiaro che si debba agire con responsabilità, ma chi avrebbe mai creduto che i finlandesi avrebbero desiderato entrare nella Nato, che la Svizzera avrebbe bloccato i conti bancari degli oligarchi, che la Germania si sarebbe riarmata? E chi avrebbe pensato che l’America avrebbe bloccato le importazioni di petrolio dalla Russia?».

Come valuta l’operato di Biden?
«Sull’Ucraina ha fatto un ottimo lavoro, non oso pensare cosa sarebbe successo se ci fosse stato Trump. Più in generale in Occidente, al livello della popolazione, ci sono generazioni che non hanno mai conosciuto la guerra, convinte di essere più al sicuro di quello che in realtà fossero. Possono essere state spiazzate, ma la risposta c’è: non vedo pigrizia o indifferenza».

Il mondo affronta da due anni la pandemia. I primi mesi del Covid-19 mostrarono una solidarietà e una speranza di cambiamento che nel tempo si sono raffreddati. Anche l’attuale reazione alla guerra potrebbe spegnersi?
«Certamente bisognerà vedere se nei prossimi mesi, o già nelle prossime settimane, manterremo questa motivazione o inizieremo a dire: “No, il gas è troppo caro, le merci scarseggiano…”. La verità è che stiamo affrontando un test su chi siamo. Mi viene in mente il paradosso attribuito al fisico Enrico Fermi, nel quale ci si chiede: se l’universo è pieno di civiltà sviluppate, dove sono tutte le altre? Un’ipotesi è che ogni civiltà raggiunga a un certo punto una condizione in cui produce gli strumenti per autodistruggersi, e si annienta. Ecco, anche noi potremmo essere arrivati a questo punto. I nostri “mezzi” sono le armi, la guerra, l’emergenza ambientale, la pandemia… E dunque la domanda è: abbiamo formato una coscienza che stia al passo? Siamo in grado di scegliere la vita e non la morte?».

Lei che aspettative ha?
«Diffido di chi ha certezze. Ma ciò di cui sono più sicuro ora rispetto a un mese fa è che esistono persone coraggiose e dalla parte del bene. La differenza alla fine la fa questo tipo di individui. E mi sembra che oggi il mondo stia comunque mostrando più bontà e coraggio, non solo male e follia. Una ragione per coltivare, seppure con cautela, la speranza».

13 marzo 2022 (modifica il 13 marzo 2022 | 09:01)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-03-13 16:52:00, Lo scrittore americano: «Sono in debito con quel Paese, sento una responsabilità. Zelensky sta dimostrando che un uomo da solo può scuotere il mondo. Il paragone tra Hitler e Putin mi sembra opportuno: ci ricorda cosa può accadere», Photo Credit: , Alessia Rastelli

Powered by the Echo RSS Plugin by CodeRevolution.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version