Salvini pronto a un incarico di governo (non il ministero dell’Interno)

Il messaggio da Fratelli d’Italia: nessun veto su di lui. L’obiettivo del leader è mettere pressione su Meloni

Matteo Salvini è «pronto a un incarico di governo». Prima di tornare a Milano il segretario leghista si dedica a «incontri e colloqui con esponenti dell’industria, del commercio e dell’agricoltura». Per parlare «soprattutto di caro bollette che resta una priorità per la Lega». E per dire che «se non interverrà il governo in carica, dovrà essere la prima preoccupazione dell’esecutivo di centrodestra che verrà». La nota leghista è suggestiva. In primo luogo, sono significative le parole utilizzate. Il dire che Salvini è «pronto» all’incarico rimanda subito al «Pronti» di Giorgia Meloni, il claim di tutta la sua fortunata campagna elettorale. E curiosamente anticipa di qualche ora il «pronti a metterci la faccia» diffuso dalla leader di Fratelli d’Italia via social.

Inoltre, a quanto pare, secondo la nota Salvini è «pronto» non per il ministero dell’Interno, ma per un incarico di governo non meglio definito. Certo, il concetto è stato ribadito parecchie volte nell’ultima settimana: Salvini non intende fare quello che pretende il Viminale. E dunque, è «pronto», ancora una volta «a fare la cosa migliore per il paese». In mattinata, a ogni buon conto, da Fratelli d’Italia erano venute rassicurazioni: «Non mi risultano veti su Salvini al Viminale» aveva detto Fabio Rampelli. Mentre al capogruppo Francesco Lollobrigida non «risulta che ci siano veti di alcun tipo».

Però, osserva un deputato assai vicino a Salvini, «ci vuole chiarezza. Se Matteo non va bene, si deve dire il perché. E a quel punto ci si ragiona». Il fedelissimo si spinge addirittura oltre: «Salvini ora non può dire che è lui a rinunciare. Non può farlo perché ha ricevuto un mandato preciso non da uno, ma da due consigli federali del partito in meno di settimane». Come dire: nemmeno Salvini può sottrarsi al compito che gli è stato assegnato dalla «camera alta» leghista. Senza contare che non ci sono poi molte posizioni che non suonino come «diminutio» per chi è già stato vice premier e ministro dell’Interno.

La nota leghista, inoltre, sembra fatta apposta per mettere qualche pressione sulla premier in pectore. Senza tornare sugli scostamenti di bilancio protagonisti della campagna elettorale, senza sbilanciarsi sul tema del fare nuovo debito, senza più entrare nel merito. Ma richiamando Giorgia Meloni a quelle che saranno le scelte strategiche del prossimo governo. Anche se lei certamente non le ignora. Insomma, l’obiettivo leghista sembra essere quello di snidare Giorgia Meloni. Arrivare al faccia a faccia tra i due leader con qualche cosa già sul tavolo, qualche abbozzo di squadra. Anche se difficilmente l’incontro tra i due avverrà prima della prossima settimana.

Nel partito, il «che cosa farà Matteo» è la grande domanda. E per certi versi, la risposta non è scontata, nemmeno tra chi gli è più vicino. L’agitazione nel partito, il Comitato del Nord a cui avrebbe dato il suo assenso anche Umberto Bossi, ma anche le sfide a cui sarà chiamato il prossimo governo spingono un deputato a suggerire l’alternativa: «O Matteo prende un ministero soft e fa il segretario, oppure prende un ministero duro. Ma in quel caso, difficilmente potrebbe continuare a fare il segretario». Viminale? «Non è da escludere che per le tensioni sociali tra un paio di mesi diventi un ministero molto scomodo».

Il Corriere della Sera e il sito Corriere.it oggi e domani escono senza le firme dei giornalisti per un’agitazione sindacale

6 ottobre 2022 (modifica il 6 ottobre 2022 | 07:32)

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Pietro Guerra

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