Sanzioni alla Russia, ecco quanto Putin ci sta rimettendo

Dal 24 febbraio le sanzioni verso la Russia sono emesse per tappe. Prima il blocco delle transazioni con le banche, poi l’import-export strategico, poi il petrolio e il carbone verso Usa e Uk e, da agosto, per il carbone verso la Ue. Infine il blocco del debito sovrano tramite le banche americane. Ma quanto pesano davvero su Mosca le misure fatte scattare da Usa, Canada, Ue, Regno Unito, Svizzera, Islanda, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Australia e Nuova Zelanda? Lo vediamo dopo aver consultato decine di database, statistiche internazionali, documenti dell’Ofac (l’Office of foreign assets control statunitense), della Commissione europea e con l’aiuto dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e dell’Osservatorio conti pubblici italiani (Ocpi). I Paesi che hanno adottato sanzioni contro la Russia sono 37, ma rappresentano il 59% del Pil mondiale. Fra i 193 che non le applicano ci sono Cina, India, Emirati Arabi, Iran e Turchia.

Blocco delle transazioni

Sospesa l’operatività con dieci banche russe su titoli, prestiti, investimenti, pagamento dei debiti e incasso dei crediti. Si tratta di Sberbank, VTB, Gazprombank, Alfa Bank, Promsvyazbank, VEB, Otkritie, Rosselkhozbank, Sovcombank e Novikombank. Tutte insieme fanno all’incirca il 70% degli attivi del sistema bancario russo. Il Tesoro Usa stima che le banche russe effettuano transazioni in valuta estera per l’equivalente di circa 46 miliardi di dollari al giorno a livello globale, l’80% delle quali in dollari statunitensi, e che la stragrande maggioranza di quelle transazioni sia danneggiata dalle sanzioni. Poi c’è il blocco dello Swift, ossia la stringa alfanumerica da 8 a 11 caratteri dov’è specificata la banca e il Paese di provenienza, usato per velocizzare i pagamenti sui mercati internazionali. Questo blocco colpisce Rossiya, più altre sei banche già colpite dalla sospensione dell’operatività (VTB, Promsvyazbank, VEB, Otkritie, Sovcombank e Novikombank). Sono escluse Sberbank e Gazprombank, autorizzate a incassare i pagamenti delle esportazioni di gas, petrolio, carbone (che consente quindi di far arrivare comunque quasi 1 miliardo di dollari al giorno).

Le riserve della Banca Centrale

Le sanzioni hanno scatenato corse agli sportelli, fughe di capitali e fatto crollare il rublo. In risposta la Banca Centrale russa ha alzato il costo del denaro e messo mano alle riserve ufficiali che, in un mese, sono scese di 39 miliardi di dollari. Fino al 18 febbraio 2022 la Banca centrale aveva in pancia 643 miliardi di dollari, ora sono 604. Poca roba, perché anche qui le sanzioni hanno congelato il 60% delle riserve, e cioè la quota denominata in euro, dollari, sterline e yen, pari a circa 350 miliardi di dollari. Dal 24 marzo gli Usa hanno imposto lo stop anche sui 133 miliardi di riserve in oro. La Russia però può disporre della quota di riserve nelle valute dei Paesi non sanzionatori, tra cui la Cina con 83 miliardi in yuan. Per stringere la corda, dal 5 aprile, il Tesoro americano ha vietato alla Russia i pagamenti del debito sovrano con i suoi dollari presenti nelle banche Usa. Vuol dire che già il 27 maggio alla scadenza di una cedola da 101 milioni potrebbe aprirsi la procedura di fallimento dello Stato.

I danni dell’embargo

L’embargo pesa anche sui Paesi sanzionatori che non possono più esportare in Russia tecnologia come semiconduttori, computer, laser, sensori, apparecchiature per la navigazione e le telecomunicazioni, ovvero tutto quello può essere utilizzato per scopi militari, nel settore dell’aviazione e nella raffinazione del petrolio. Stop anche all’esportazione di logistica e beni di lusso, dall’alta moda ai profumi, gioielleria, dispositivi elettronici di valore superiore a 750 euro, auto sopra i 50.000 euro, orologi e loro parti, oggetti d’arte. Vietato dall’Ue invece l’import di ferro, acciaio, carbone, legno, materiale per l’edilizia, gomma. Usa e Uk hanno bloccato le loro importazioni di petrolio e carbone, che in tutto valgono complessivamente poco più di 12 miliardi. Mentre il carbone Ue ne vale 4,3.

Quanto pesa sulla Russia

Dai calcoli dell’Ispi le sanzioni bloccano il 12% dell’import russo, che nel pre-pandemia valeva complessivamente 247 miliardi di dollari, e il 7% del suo export, equivalente a 427 miliardi di dollari. Da parte sua la Russia ha bloccato le forniture di grano, mais, fertilizzanti. L’impatto maggiore, invece, dovuto al mancato export e import lo subiscono i Paesi della Ue, anche considerando che le stesse misure sono applicate alla Bielorussia, in quanto Paese fiancheggiatore, e al Donbass, poiché si ritiene che gli acquisti vadano a finanziare la guerra. I più colpiti dal mancato import di siderurgia e gomma da Bielorussia e Donbass sono soprattutto Italia e Spagna, molto meno Francia e Germania. Non mancano tentativi di raggirare l’embargo triangolando verso Paesi terzi: i dati doganali registrano ad esempio un improvviso aumento di export verso Armenia e Kazakistan proprio dei beni vietati. Si possono invece esportare in Russia tutti gli altri beni, da alimentari alla manifattura, ma l’economia di guerra ha ridotto la domanda con un impatto globale stimato in 30 miliardi (circa il 20%).

Chi se ne va e chi resta

Dal database di Yale risulta che a oggi, su 773 aziende operative in Russia, se ne sono ritirate 252 fra cui colossi internazionali come Apple H&M, Ikea McDonald’s, Microsoft e Netflix e le quattro italiane Assicurazioni Generali, Eni, Ferragamo, Yoox. Hanno sospeso le attività in 237 fra cui le compagnie internazionali di container MSC, Maersk e CMA, e le italiane Ferrari, Iveco, Leonardo, Moncler e Prada. Hanno ridotto l’attività in 62 tra cui Enel, Ferrero e Pirelli. In 91 prendono tempo, come Barilla e Maire Tecnimont. Restano in 131: Acer, Auchan-Retail, Lenovo, e le 11 italiane Buzzi Unichem, Calzedonia, Campari, Cremonini Group, De Cecco, Delonghi, Geox, Intesa Sanpaolo, Menarini Group, UniCredit, Zegna Group.

I beni degli oligarchi

Le liste di miliardari, politici e militari a cui congelare le proprietà sono disallineate. L’Ue ha stilato un elenco di 1.110 nomi, la Gran Bretagna di 989 nomi, gli Usa di 407. E quindi succede che fra i 20 oligarchi e funzionari più ricchi della Russia sanzionati da Ue e Regno Unito, ma non dagli Usa, ci sono l’industriale di fertilizzanti Andrey Igorevich Melnichenko, Roman Abramovich, il fondatore di Alfa-Bank Mikhail Fridman, il produttore di acciaio Viktor Rashnikov. Sanzionato invece da Usa e Uk, ma non dall’Ue, c’è il produttore di materie prime Victor Vekselberg. Mentre nessuno dei tre ha sanzionato il presidente e principale azionista della società russa del gas Novatek Leonid Mikhelson e il magnate dell’acciaio Vladimir Lisin. Nessuna sanzione per il presidente del gigante petrolifero Lukoil Vagit Alekperov, considerato meno vicino a Putin del presidente di Rosneft Igor Sechin, che mira a prendersi Lukoil per diventare il padrone assoluto del petrolio russo (sanzionato sia da Ue e Uk che dagli Usa). Fra gli intoccati c’è infine il magnate dei metalli Vladimir Potanin, considerato dagli Stati Uniti tra i 210 individui strettamente associati al presidente russo.

La scelta di sanzionare alcuni e non altri è frutto di valutazioni politiche ed economiche dei singoli Paesi poiché, secondo quanto riportato da Forbes, il «predominio della Russia nelle esportazioni di petrolio, gas e materie prime ha collegato il destino dei produttori e delle imprese occidentali con quello delle imprese russe e dei loro proprietari, ovvero gli oligarchi». Atlantic Council stima che oligarchi e funzionari nascondano nei paradisi fiscali circa 1 trilione di dollari (tanti quanti ne possiede l’intera popolazione russa), per cui scovare le loro proprietà non è facile. Nella Ue, ad oggi, sono stati congelati asset per 29 miliardi.

Espulso lo sport

Sanzioni anche per il mondo dello sport e della cultura. Fuori atleti e squadre dalle gare olimpiche, di tennis, dal mondiale di calcio, dalla coppa del mondo di sci e mondiali juniores di nuoto. Si terranno fuori dalla Russia la finale di Champions League e il circuito del gran premio di Formula 1.

La partita cruciale alla fine può giocarla solo l’Unione Europea, decidendo se a farci più paura è la barbarie e la fine dello stato di diritto o un periodo di forte austerità

Fuori dall’Eurovision 2022 e Warner Bros, Disney e Sony hanno sospeso l’uscita dei film nelle sale russe. Tirando le somme: le sanzioni nel loro complesso stanno isolando Mosca e provocando qualche danno alla sua economia, ma ampiamente compensato dall’export di idrocarburi di cui la Ue, e in particolare Italia e Germania, ha drammaticamente bisogno. La partita cruciale alla fine può giocarla solo l’Unione Europea, decidendo se a farci più paura è la barbarie e la fine dello stato di diritto o un periodo di forte austerità. Nella risposta la soluzione.

11 aprile 2022 | 06:41

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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, 2022-04-11 06:40:00,

Dal 24 febbraio le sanzioni verso la Russia sono emesse per tappe. Prima il blocco delle transazioni con le banche, poi l’import-export strategico, poi il petrolio e il carbone verso Usa e Uk e, da agosto, per il carbone verso la Ue. Infine il blocco del debito sovrano tramite le banche americane. Ma quanto pesano davvero su Mosca le misure fatte scattare da Usa, Canada, Ue, Regno Unito, Svizzera, Islanda, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Australia e Nuova Zelanda? Lo vediamo dopo aver consultato decine di database, statistiche internazionali, documenti dell’Ofac (l’Office of foreign assets control statunitense), della Commissione europea e con l’aiuto dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e dell’Osservatorio conti pubblici italiani (Ocpi). I Paesi che hanno adottato sanzioni contro la Russia sono 37, ma rappresentano il 59% del Pil mondiale. Fra i 193 che non le applicano ci sono Cina, India, Emirati Arabi, Iran e Turchia.

Blocco delle transazioni

Sospesa l’operatività con dieci banche russe su titoli, prestiti, investimenti, pagamento dei debiti e incasso dei crediti. Si tratta di Sberbank, VTB, Gazprombank, Alfa Bank, Promsvyazbank, VEB, Otkritie, Rosselkhozbank, Sovcombank e Novikombank. Tutte insieme fanno all’incirca il 70% degli attivi del sistema bancario russo. Il Tesoro Usa stima che le banche russe effettuano transazioni in valuta estera per l’equivalente di circa 46 miliardi di dollari al giorno a livello globale, l’80% delle quali in dollari statunitensi, e che la stragrande maggioranza di quelle transazioni sia danneggiata dalle sanzioni. Poi c’è il blocco dello Swift, ossia la stringa alfanumerica da 8 a 11 caratteri dov’è specificata la banca e il Paese di provenienza, usato per velocizzare i pagamenti sui mercati internazionali. Questo blocco colpisce Rossiya, più altre sei banche già colpite dalla sospensione dell’operatività (VTB, Promsvyazbank, VEB, Otkritie, Sovcombank e Novikombank). Sono escluse Sberbank e Gazprombank, autorizzate a incassare i pagamenti delle esportazioni di gas, petrolio, carbone (che consente quindi di far arrivare comunque quasi 1 miliardo di dollari al giorno).

Le riserve della Banca Centrale

Le sanzioni hanno scatenato corse agli sportelli, fughe di capitali e fatto crollare il rublo. In risposta la Banca Centrale russa ha alzato il costo del denaro e messo mano alle riserve ufficiali che, in un mese, sono scese di 39 miliardi di dollari. Fino al 18 febbraio 2022 la Banca centrale aveva in pancia 643 miliardi di dollari, ora sono 604. Poca roba, perché anche qui le sanzioni hanno congelato il 60% delle riserve, e cioè la quota denominata in euro, dollari, sterline e yen, pari a circa 350 miliardi di dollari. Dal 24 marzo gli Usa hanno imposto lo stop anche sui 133 miliardi di riserve in oro. La Russia però può disporre della quota di riserve nelle valute dei Paesi non sanzionatori, tra cui la Cina con 83 miliardi in yuan. Per stringere la corda, dal 5 aprile, il Tesoro americano ha vietato alla Russia i pagamenti del debito sovrano con i suoi dollari presenti nelle banche Usa. Vuol dire che già il 27 maggio alla scadenza di una cedola da 101 milioni potrebbe aprirsi la procedura di fallimento dello Stato.

I danni dell’embargo

L’embargo pesa anche sui Paesi sanzionatori che non possono più esportare in Russia tecnologia come semiconduttori, computer, laser, sensori, apparecchiature per la navigazione e le telecomunicazioni, ovvero tutto quello può essere utilizzato per scopi militari, nel settore dell’aviazione e nella raffinazione del petrolio. Stop anche all’esportazione di logistica e beni di lusso, dall’alta moda ai profumi, gioielleria, dispositivi elettronici di valore superiore a 750 euro, auto sopra i 50.000 euro, orologi e loro parti, oggetti d’arte. Vietato dall’Ue invece l’import di ferro, acciaio, carbone, legno, materiale per l’edilizia, gomma. Usa e Uk hanno bloccato le loro importazioni di petrolio e carbone, che in tutto valgono complessivamente poco più di 12 miliardi. Mentre il carbone Ue ne vale 4,3.

Quanto pesa sulla Russia

Dai calcoli dell’Ispi le sanzioni bloccano il 12% dell’import russo, che nel pre-pandemia valeva complessivamente 247 miliardi di dollari, e il 7% del suo export, equivalente a 427 miliardi di dollari. Da parte sua la Russia ha bloccato le forniture di grano, mais, fertilizzanti. L’impatto maggiore, invece, dovuto al mancato export e import lo subiscono i Paesi della Ue, anche considerando che le stesse misure sono applicate alla Bielorussia, in quanto Paese fiancheggiatore, e al Donbass, poiché si ritiene che gli acquisti vadano a finanziare la guerra. I più colpiti dal mancato import di siderurgia e gomma da Bielorussia e Donbass sono soprattutto Italia e Spagna, molto meno Francia e Germania. Non mancano tentativi di raggirare l’embargo triangolando verso Paesi terzi: i dati doganali registrano ad esempio un improvviso aumento di export verso Armenia e Kazakistan proprio dei beni vietati. Si possono invece esportare in Russia tutti gli altri beni, da alimentari alla manifattura, ma l’economia di guerra ha ridotto la domanda con un impatto globale stimato in 30 miliardi (circa il 20%).

Chi se ne va e chi resta

Dal database di Yale risulta che a oggi, su 773 aziende operative in Russia, se ne sono ritirate 252 fra cui colossi internazionali come Apple H&M, Ikea McDonald’s, Microsoft e Netflix e le quattro italiane Assicurazioni Generali, Eni, Ferragamo, Yoox. Hanno sospeso le attività in 237 fra cui le compagnie internazionali di container MSC, Maersk e CMA, e le italiane Ferrari, Iveco, Leonardo, Moncler e Prada. Hanno ridotto l’attività in 62 tra cui Enel, Ferrero e Pirelli. In 91 prendono tempo, come Barilla e Maire Tecnimont. Restano in 131: Acer, Auchan-Retail, Lenovo, e le 11 italiane Buzzi Unichem, Calzedonia, Campari, Cremonini Group, De Cecco, Delonghi, Geox, Intesa Sanpaolo, Menarini Group, UniCredit, Zegna Group.

I beni degli oligarchi

Le liste di miliardari, politici e militari a cui congelare le proprietà sono disallineate. L’Ue ha stilato un elenco di 1.110 nomi, la Gran Bretagna di 989 nomi, gli Usa di 407. E quindi succede che fra i 20 oligarchi e funzionari più ricchi della Russia sanzionati da Ue e Regno Unito, ma non dagli Usa, ci sono l’industriale di fertilizzanti Andrey Igorevich Melnichenko, Roman Abramovich, il fondatore di Alfa-Bank Mikhail Fridman, il produttore di acciaio Viktor Rashnikov. Sanzionato invece da Usa e Uk, ma non dall’Ue, c’è il produttore di materie prime Victor Vekselberg. Mentre nessuno dei tre ha sanzionato il presidente e principale azionista della società russa del gas Novatek Leonid Mikhelson e il magnate dell’acciaio Vladimir Lisin. Nessuna sanzione per il presidente del gigante petrolifero Lukoil Vagit Alekperov, considerato meno vicino a Putin del presidente di Rosneft Igor Sechin, che mira a prendersi Lukoil per diventare il padrone assoluto del petrolio russo (sanzionato sia da Ue e Uk che dagli Usa). Fra gli intoccati c’è infine il magnate dei metalli Vladimir Potanin, considerato dagli Stati Uniti tra i 210 individui strettamente associati al presidente russo.

La scelta di sanzionare alcuni e non altri è frutto di valutazioni politiche ed economiche dei singoli Paesi poiché, secondo quanto riportato da Forbes, il «predominio della Russia nelle esportazioni di petrolio, gas e materie prime ha collegato il destino dei produttori e delle imprese occidentali con quello delle imprese russe e dei loro proprietari, ovvero gli oligarchi». Atlantic Council stima che oligarchi e funzionari nascondano nei paradisi fiscali circa 1 trilione di dollari (tanti quanti ne possiede l’intera popolazione russa), per cui scovare le loro proprietà non è facile. Nella Ue, ad oggi, sono stati congelati asset per 29 miliardi.

Espulso lo sport

Sanzioni anche per il mondo dello sport e della cultura. Fuori atleti e squadre dalle gare olimpiche, di tennis, dal mondiale di calcio, dalla coppa del mondo di sci e mondiali juniores di nuoto. Si terranno fuori dalla Russia la finale di Champions League e il circuito del gran premio di Formula 1.

La partita cruciale alla fine può giocarla solo l’Unione Europea, decidendo se a farci più paura è la barbarie e la fine dello stato di diritto o un periodo di forte austerità

Fuori dall’Eurovision 2022 e Warner Bros, Disney e Sony hanno sospeso l’uscita dei film nelle sale russe. Tirando le somme: le sanzioni nel loro complesso stanno isolando Mosca e provocando qualche danno alla sua economia, ma ampiamente compensato dall’export di idrocarburi di cui la Ue, e in particolare Italia e Germania, ha drammaticamente bisogno. La partita cruciale alla fine può giocarla solo l’Unione Europea, decidendo se a farci più paura è la barbarie e la fine dello stato di diritto o un periodo di forte austerità. Nella risposta la soluzione.

11 aprile 2022 | 06:41

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