Si parte con un pensiero rivolto ai docenti. “Cari professori, dovete riconoscere se avete un interesse vero per l’insegnamento o se invece è un ripiego”. E uno ai genitori: “Devono essere espulsi dalla scuola. Sarebbe opportuno che i ragazzi facessero il servizio civile”, visto che la leva è stata abolita, “e che se ne stessero a molti chilometri di distanza dai propri genitori, con telefoni cellulari interdetti alle famiglie perché capiscano che oltre la famiglia esiste la società”.
I genitori, peraltro, “non consentono ai ragazzi di avere un rapporto dialettico con gli insegnanti, occorre invece che siano i ragazzi stessi a parlare con i docenti”. E lei, professor Umberto Galimberti? “Quando insegnavo al liceo ho abolito l’ora di ricevimento dei genitori. Come va mio figlio? mi chiese un giorno una madre. Se non lo sa lei, che lo vede da 17 anni, le ho risposto io. Da allora non sono più venuti. Il filosofo milanese torna a parlare di scuola. Stavolta è relatore a Modena in una delle iniziative della kermesse intitolata “Prendersi cura delle nuove generazioni: la scuola va in città”, un’iniziativa del Comune di Modena, che si concluderà oggi pomeriggio, 8 ottobre, con partner Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna, Provincia di Modena, Regione Emilia-Romagna, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. E’ una tre giorni di plenarie, laboratori e workshop con pedagogisti, scrittori e urbanisti. Tra i tanti nomi, quelli di Michela Marzano, Dario Ianes, Antonio Farnè, Umberto Galimberti. Appunto
Ma perché questa iniziativa? “Il nostro obiettivo”, spiega Grazia Baracchi, insegnante e assessore comunale modenese all’istruzione “è contribuire alla costruzione di una scuola diffusa nella città per contrastare povertà educative e diseguaglianze sociali. Durante le tre giornate della manifestazione le diverse proposte in campo stanno aiutando a capire come allestire spazi di apprendimento capaci di accendere il desiderio di futuro di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, ridurre la dispersione scolastica e l’abbandono precoce degli studi. L’intento di questa prima edizione è convogliare le energie sociali e culturali della città nella prospettiva di diventare sempre più comunità educante: una comunità, cioè, che sa farsi carico di tutti i suoi giovani e che sa aprirsi alle energie positive che provengono dalla scuola e che non sempre la comunità sa valorizzare”.
Si è discusso, inoltre, “di come ripensare la vecchia scuola media”, cioè la secondaria di primo grado, ma anche di nutrizione a scuola e tempo pieno e ospitare appuntamenti e laboratori rivolti a bambini e ragazzi.
Quella con Galimberti è un incontro molto partecipato. Si tiene presso la Chiesa di San Carlo, nel centro cittadino. Il pensiero del filosofo è spesso rivolto ai giovani e ai giovanissimi, al loro rapporto con i genitori, a quello con la tecnica e con le nuove tecnologie. Ma soprattutto al proprio stare a scuola, al proprio essere alunni. Alunni bambini, poi preadolescenti, infine alunni adolescenti. Si parte con la scuola media. “E’ un disastro – esordisce il filosofo – La scuola media è un disastro. E’ il più grande disastro di tutto l’ordine scolastico e lo si sa”. Uno dei motivi di tanto disastro, secondo lui, va ricercato nel fatto che “a scuola media lavorano docenti che non hanno trovato posto nelle scuole superiori”. Eppure, aggiunge, “quella della scuola media è una fase delicata. Si passa dall’infanzia all’adolescenza. I ragazzi e le ragazze conoscono per la prima volta la sessualità ma è una fase in cui si avvicinano alla sessualità sullo smartphone, i gesti sessuali sono sganciati dalla sfera emotiva”
E’ una fase in cui spesso si diventa o ci si atteggia da bulli. “E cosa fa la scuola con i bulli?, si domanda Galimberti. “Li sospende”, è la risposta. “Ma scherziamo? Dovrebbe tenerli il doppio, a scuola, per insegnare loro l’educazione al rispetto e l’educazione sentimentale. Guardate che i ragazzi oggi non conoscono la differenza tra corteggiare una ragazza e stuprarla, non conoscono la differenza tra insultare un docente e picchiarlo. Pensate per un attimo a che cosa dicono quando li hanno arrestati dopo uno stupro: Cosa abbiamo fatto di strano? E in effetti dicono la verità: non lo sanno”. Bisogna tenerli a scuola, i ragazzi, prosegue, “e insegnare loro i sentimenti. I sentimenti non sono qualcosa di innato, sono un fenomeno culturale, cioè si imparano. S’imparano con la letteratura. La letteratura insegna l’angoscia, il coraggio, la noia, il suicidio, la gioia. Allora riempiamo la scuola di letteratura, non di computer. La scuola deve occuparsi di formazione dell’uomo. Un competente che non ha tratti umani a che serve?”
Facciamo un passo indietro. Torniamo alla primaria, alla scuola delle bambine e dei bambini, che un tempo era chiamata scuola elementare. “La scuola elementare è stata psichiatrizzata – tuona Galimberti – Sono tutti Dsa, sono tutti dislessici. Ma stiamo scherzando? La colpa è dei genitori: basta una diagnosi e si semplifica tutto. All’epoca mia non c’erano tutti questi disgrafici e dislessici e non perché si fosse meno attenti. E guardate che non faccio riferimento all’epoca mia come se fosse un’epoca d’oro. Se vedete il mio naso è stato distrutto, spaccato dalla mia insegnante che aveva un anello che le aveva regalato il marito. Mi ha dato uno sberlone con cui mi ha rotto il naso. Hanno chiamato mia mamma la quale come mi ha visto mi ha dato due sberle, perché questa è la vera collaborazione tra scuola e famiglia e bisogna andare d’accordo a questo livello”. Applauso in sala, anzi in Chiesa. Il filosofo avverte gli insegnanti che “il passaggio dalle pulsioni alle emozioni comincia qui, a scuola. Alla scuola secondaria di secondo grado. La vecchia scuola superiore. “E’ qui che compare definitivamente la sessualità. E’ un capovolgimento della visione del mondo. Se gli adolescenti sono in crisi è perché cambia la visione del mondo. Un bambino che guarda un tramonto racconta che il sole sta andando a nanna. L’adolescente, invece, ci vede una dimensione erotica”. Non è una roba da poco. E’ una roba enorme per gli adulti di riferimento. Lo è per le famiglie. Lo è per la scuola e per i suoi insegnanti. “La scuola dev’essere un gioco di vita”, precisa. “Non che a scuola si debba giocare, e comunque anche per giocare servono delle regole. La scuola deve insegnare le regole del gioco della vita. E’ un lavoro enorme”. Appunto.
Si fa presto a dire: studenti. Gli studenti sono studenti e studentesse. E non sono la stessa cosa, secondo il filosofo. Non sempre, almeno. “Sono più problematici i maschi – conferma lui – le femmine sono più sveglie. All’università le femmine – lo vediamo – studiano di più. Il maschio cresce come una pianta. Il maschio usa un’intelligenza logico-matematica, la donna ha un’intelligenza intuitiva, sentimentale, che è una facoltà cognitiva”. Tutte queste cose, le sanno, gli insegnanti? La scuola è attrezzata? “E’ possibile diventare professore senza aver mai incontrato un libro di psicologia dell’età evolutiva”, dirà il filosofo più tardi. Ma per ora la critica è rivolta al sistema: “Quando si fa una classe con 30 alunni – osserva lui – non si può più fare un discernimento in merito alle diverse intelligenze. Si parla spesso di intelligenze multiple: date per favore un’occhiata ai tanti libri che parlano di intelligenze multiple”. Ma “per riuscire a individuare i diversi tipi di intelligenza le scuole dovrebbero chiudere a mezzanotte. Nel pomeriggio bisognerebbe fare teatro, musica, compiti. E la sera anche la discoteca, magari”.
La scuola deve, la scuola dovrebbe. Si dice scuola, ma si parla di insegnanti. Sono loro a dover riuscire a individuare i diversi tipi di intelligenza. Tuttavia, i professori e le professoresse, “vincono un concorso ma bisogna vedere se hanno l’empatia necessaria e la capacità di percepire che cosa passi per la testa dei loro studenti. Alcuni studiosi parlano a questo proposito dell’importanza o meno dei neuroni specchio”. Che abbiano ragione o meno a dare importanza ai neuroni specchio, “chi non ha empatia – tuona Galimberti – non deve fare l’insegnante. Punto. Occorrerebbe introdurre dei test di personalità per vedere se c’è empatia nell’insegnante. Se non c’è empatia non sarà in grado di motivare gli studenti perché non saprebbe capire cosa passi per la loro testa. Tu, insegnante, li hai mai guardati in faccia i tuoi alunni che stanno male e quelli che si sono suicidati?” Peraltro, non si può trasferire il sapere se non si apre il cuore, prosegue Galimberti: “Dovete riconoscere se avete un interesse vero per questa professione o se è un ripiego. Un dirigente scolastico del Sud mi ha riferito che il 40 per cento dei suoi insegnanti è rappresentato da gente che ha fallito negli altri mestieri, un altro 40 per cento, invece, conta i giorni per la pensione”. E ancora: “E’ possibile diventare professori senza aver mai incontrato un libro di psicologia dell’età evolutiva? Guardate che la vostra esperienza non conta nulla: il mondo di oggi non è il mondo vostro”. Non è insomma il mondo di quando eravate giovanissimi voi.
Un auspicio riferito ai genitori: “I genitori devono essere espulsi dalla scuola. Sarebbe opportuno che i ragazzi facessero il servizio civile”, visto che la leva è stata abolita, “ma a molti chilometri di distanza dai propri genitori e con telefoni cellulari interdetti alle famiglie perché questi ragazzi capiscano che oltre la famiglia esiste la società. I genitori non consentono loro di avere un rapporto dialettico con gli insegnanti, occorre che siano i ragazzi stessi a parlare con i docenti. Quando insegnavo al liceo ho abolito l’ora di ricevimento dei genitori. Come va mio figlio? Mi ha chiesto un giorno una madre. Se non lo sa lei che lo vede da 17 anni…”, le ho risposto. Da allora non sono più venuti”.
Infine un consiglio agli insegnanti e un pensiero alle scuole private. Agli insegnanti: “Non affidatevi agli psicologi – dice – parlate voi con i ragazzi, fatelo voi. Le vostre parole sono molto efficaci”. Funziona, secondo il filosofo. “Quando un professore non funziona lo sanno tutti. Però è di ruolo”. Non si può toccare, par di capire. Allora, tuona Galimberti ancora una volta, “aboliamo il ruolo”. E le scuole private, a Galimberti piacciono le scuole private? “Io sono contro la scuola privata perché sono dei ghetti per abbienti, ma hanno un privilegio. Non penso agli esamifici – precisa lui – penso alle scuole parificate. Le scuole parificate hanno il privilegio di poter non rinnovare il contratto a un docente” che non sia all’altezza del compito. “Perché le scuole pubbliche non lo possono fare? Allora il sospetto è che si faccia come con la sanità”. S’indirizzano gli studenti verso il privato? “Io sono contro la scuola privata. Però le scuole private hanno questo privilegio”. Che possono, secondo Galimberti, liberarsi di un docente che non ha empatia, che non è preparato, o che non funziona.
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