Se la stabilità del personale all’interno di un’azienda o di un servizio è anche segno della sua salute, mentre il ricambio continuo della forza lavoro è segno di instabilità, non si può certamente ritenere che la scuola di oggi, dove la precarietà del personale ha raggiunto livelli patologici, goda di buona salute. Guardando al numero attuale dei docenti non di ruolo presenti nella scuola statale, riportati dettagliatamente dal Portale dati del MIM, certamente non è fuori luogo, infatti, parlare di livelli patologici.
Sette anni fa, nell’anno scolastico 2015-16, era suonato un primo campanello d’allarme: 12% di precari (oltre 100mila su 834mila docenti in cattedra), un livello per niente fisiologico. Il numero di quei docenti precari è andato aumentando, nonostante vi siano stati in quegli anni interventi diversi di reclutamento (concorsi, GAE) per stabilizzare i posti vacanti. Un aumento pressoché costante determinato, tra l’altro, anche dall’incremento dei posti di sostegno in deroga che, per disposizione di legge, vengono esclusivamente assegnati a docenti con contratto a tempo determinato fino al termine delle attività didattiche (30 giugno). Dai 100mila del 2015-16 il numero di quei docenti è passato l’anno dopo a quasi 126mila, poi a 135mila nell’anno successivo, e così via di aumento in aumento fino a toccare l’anno scorso quota 225mila, facendo segnare in questo modo una percentuale di docenti precari di oltre il 24%, doppia di quella del 2015-16, (225mila su 924mila docenti in cattedra): quasi uno su quattro. È fondata la stima che nel corrente anno scolastico il numero di docenti con contratto a tempo determinato vada oltre le 240mila unità sia per l’aumento di docenti di sostegno su posti in deroga sia per i nuovi insegnanti di educazione motoria, nominati sulle classi quinte della scuola primaria. Quei dati, in valori assoluti e percentuali, attestano oggettivamente tutta la patologia di una situazione del personale docente che deve essere risolta in modo strutturale.
Come i suoi predecessori, anche il ministro dell’istruzione Valditara cerca di avviare a soluzione il pesante problema del precariato che sembra fuori controllo, con un aumento continuo di contratti a tempo determinato annuali o fino al termine delle attività. Il ministro ha previsto nell’immediato un piano di reclutamento per 70 mila posti di docenza per il 2024, di cui circa 20 mila per il prossimo settembre, e in parte riservati ai docenti precari. Quei 70 mila posti – ammesso che alla fine vengano tutti coperti da vincitori(come purtroppo non è avvenuto negli ultimi anni) – copriranno a malapena i 67.467 posti registrati dal Portale dati del MIM come vacanti e assegnati a precari con contratto annuale, senza considerare che nel frattempo circa altri 20mila posti rimarranno disponibili a settembre per pensionamenti. Oltre a quei 67.467 posti, l’anno scorso ci sono stati anche altri 157.461 posti coperti da docenti con contratto a termine, cioè fino al 30 giugno. Secondo i dati riportati dal Portale scuola del Ministero, a farla da padroni, come si è visto, sono i posti attivati fino al termine delle attività che costituiscono il 70% di tutti i posti assegnati a docenti con contratto a tempo determinato. Tra questi dati, emergono nettamente i posti di sostegno in deroga che non hanno mai registrato flessioni dal 2015- 16 quando erano poco più di 35mila; l’anno scorso hanno sfiorato le 96mila unità.
Dal 2022-23 undicimila di quei posti di sostegno sono stati stabilizzati, ma, considerato che per effetto dell’incremento del numero di alunni con disabilità i posti di sostegno aumenteranno, è quasi certo che quella quota di stabilizzazione (anche se coperta da nuove immissioni ruolo) sarà riassorbita e i posti in deroga già sfiorano la punta record di centomila. Se il toro non si prenderà per le corna, cioè, se il problema non verrà affrontato in modo radicale e alternativo, il moloch del precariato non sarà abbattuto. Il ministro Valditara è chiamato ad una sfida epocale per assicurare gradualmente stabilità al sistema e contribuire a dare veramente centralità alla scuola anche in questo aspetto; ma, se intende farlo, dovrà convincere il MEF e l’intero Governo.
In questo anno 2022-23 sono stimati 240mila e più docenti con contratto a tempo determinato, assunti all’inizio delle lezioni per lavorare senza interruzioni per tutto l’anno o fino al 30 giugno ’23; nel loro insieme sono pressoché l’equivalente dell’intera popolazione della città di Verona. Cosa potrebbe succedere in quella città se fosse costituita soltanto da quei docenti precari? All’inizio di ogni settimana la grande città si spopolerebbe completamente, si svuoterebbe, senza perone per le strade: mentre una parte è andata via già da mesi e ritorna soltanto nei periodi di vacanza, tutti gli altri partono al mattino presto per il lavoro lontano (quasi mai il docente precario ha il lavoro sotto-casa); il lavoro lontano da casa – una caratteristica non catalogata del docente precario – è proprio il pendolarismo che costa in termini sia dispese vive sia in tempi aggiuntivi di viaggio trascorso lontano dalla famiglia.
Lo stipendio è quello poco esaltante dell’intera categoria, ma, a differenza di quello dei colleghi di ruolo, è sempre fermo all’iniziale, senza sviluppo di carriera anche per chi ha sul groppone molti anni di servizio. Tra loro ci sono 55.300 docenti non più giovani: hanno tra i 45 e i 54 anni e sono il 23% di quella popolazione che ogni mattino parte per il lavoro lontano. In buona parte sono i cosiddetti precari storici che hanno alle spalle anni di esperienze di supplenza in tante scuole, dove ogni anno hanno incontrato nuovi alunni e nuovi colleghi, salutati a giugno per ricominciare l’anno successivo spesso altrove con nuovi incontri, con nuovi alunni e altri colleghi: azzeramenti di esperienze e di relazioni umane che hanno finito in molti di loro per spegnere gli entusiasmi iniziali e le motivazioni. Migliaia di quei precari storici portano dentro anche la frustrazione di prove concorsuali affrontate con sacrifici ma senza il successo sperato, sperando ancora nell’ennesima promessa di reclutamenti straordinari riservati. Poi ci sono altri 17.600 docenti di età superiore ai 54 anni (sono quasi l’8%) che continuano a lavorare, ormai rassegnati a concludere la lunga carriera scolastica quasi certamente come precari. Dopo mesi di questa vita da precario, a luglio la città si ripopola, torna la vita, tornano le vacanze in attesa di un nuovo anno scolastico che, ancora una volta, sarà carico di incognite e disperanze, ma privo di sogni. A settembre ricomincia il balletto delle graduatorie, delle chiamate, dei nuovi conferimenti di supplenze: un nuovo già vissuto negli uffici scolastici della città che per alcune settimane rivive il frenetico movimento di migliaia di docenti pronti a ricominciare. Nuove sedi, nuovi alunni, nuovi colleghi. L’esercito della precarietà scolastica si rimette in marcia e la città ritorna deserta. È così che si costruisce una scuola di qualità?
Ne abbiamo parlato nel numero 631 di Tuttoscuola.
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