Si aspetta la pensione come se fosse una sorta di miraggio. Lettera

Inviata da Nicola Belfiore – Si aspetta la pensione come se fosse una sorta di miraggio, un traguardo ambito, il periodo per godersi il “meritato riposo”. Tutti sono contenti della tua messa in quiescenza, ti organizzano affettuosamente la festa, alcuni si complimentano mentre altri si offendono perché hai tenuto tutto nascosto: “me lo potevi dire”.

Di fronte a questi movimenti di pensiero ed atteggiamenti generati dal mio nuovo status da questo primo settembre, ho deciso di mettermi comodo e pensare seriamente a questa benedetta o maledetta pensione. Ho iniziato a lavorare che ero quasi coetaneo dei miei alunni, come quelli del quinto anno del liceo classico “La Farina” che me lo ricordavano ogni giorno in quel mio breve periodo di supplenza: prof. ma lei quanti anni ha? Oggi di anni ne ho sessantatré e posso godere di questo privilegio pensionistico grazie al fatto che ho versato puntualmente i miei soldi allo Stato per ben quarantadue anni e dieci mesi, anche qualcuno in più. Adesso sono pronto a godermela questa mia pensione.

Restando sempre seduto sulla mia comoda poltrona, mi sono però chiesto: come faccio a godermi questo momento, anche se proprio di momento non si tratta in quanto questa sarà la condizione in cui mi ritroverò per il resto della mia vita. Dovrò prontamente organizzarmi anche perché vige l’andazzo che appena vai in pensione ti succede sempre qualcosa, proprio nel momento in cui ti metti comodo e dici: “adesso sono tranquillo”, ecco che bussa qualche malanno o complicazione. Sto sul chi vive e divento circospetto, mi trattengo dal dire di essere pensionato, cambio discorso, svirgolo per una sorta di scaramanzia.

Come tutti, almeno credo, non ho più vincoli di orario, lezioni, consigli di classe, collegi docenti, dipartimenti e tutti quelle nuove incombenze che, via via che andavo avanti, nel mio percorso di docente, si sommavano a quelle, per la gran parte inutili, già preesistenti. Niente di niente, mente serena da pensionato e un accennato sorriso sardonico al pensiero dei miei colleghi intenti nel loro lavoro quotidiano, meditando che per alcuni di loro il pensionamento, per un mero calcolo temporale, è solo una chimera.

Che fortunato che sono!!! Solo sessantatré anni e già in pensione, come in un limbo ovattato di privilegi. Ho detto privilegi? Quali esattamente? Si vede che la demenza incalza in quanto non riesco a ricordarne neanche uno, proprio nessuno. Prendo un bel respiro, lascio cadere le spalle, faccio appello a tutte le mie facoltà mentali e mi dico: devi cambiare punto di vista, tutto qua. Devi metterti in testa che adesso sei un pensionato e come tale è già un privilegio, appunto, essere in vita e non aver malattie gravi. Adesso hai tutto il tempo che vuoi per fare le tue cose, puoi partire per qualunque posto, anche subito, senza dover inoltrare domanda a nessuno e senza allegare alcuna certificazione. Mi dico, mettiti sul primo aereo, sul primo treno, su una
nave, adesso puoi fare quella vacanza che sa di muffa per quanto l’hai tenuta chiusa dentro il cassetto.

Mentre parlo a me stesso, nello scorrere di pensieri irrefrenabili, mi blocco subito e mi rendo conto che tutte queste cose avrei voluto farle trent’anni fa e adesso ne ho più del doppio e, forse, non ho più neanche tanta voglia di farle. A rendere ancora più gravoso tutto questo è la piena consapevolezza di trovarmi nelle condizioni di un ministro senza portafoglio, bellissime idee, iniziative trattenute per decenni, sogni custoditi in attesa del fatidico momento, ispirazioni e desideri. Tutto parcheggiato in attesa di quella che veniva chiamata una volta “buona uscita”, successivamente riadattata in TFR e TFS, insomma i miei soldi. Come quelli che metto nel salvadanaio ogni giorno e che a fine anno apro per pensare ai regali di Natale, qualcosa di tangibile e soprattutto spendibile all’istante. Nulla di tutto questo, il nostro Stato, quello che continua ad illuderci dicendo che lo Stato siamo noi, si prende due anni per restituirmi, senza alcun interesse, i miei soldi messi da parte.

Adesso che seriamente ci sto riflettendo, mentre di scatto mi alzo dalla mia comoda poltrona, mi viene naturale chiedermi: I miei soldi dove sono? Voglio il mio salvadanaio immediatamente spendibile. I miei programmi saltano tutti senza i mezzi economici, quelli indispensabili per “fare altro”, perché lo stipendio prima e la pensione adesso mi sono sempre serviti per sopravvivere.

Ora dico basta, voglio vivere, anche se per 15 giorni, una vera vacanza: ristoranti gourmet, niente sistemazioni accomodanti ma un albergo con tutti i confort e la macchina a noleggio appena arrivo a destinazione. Insomma, voglio quel qualcosa in più e lo voglio adesso. Non posso ma, soprattutto, non
voglio aspettare. Senza alcun ritegno o vergogna, a fronte delle mie sterili rimostranze, mi viene, invece, ribadito: deve attendere due anni ancora e poi le daremo una parte del totale del suo TFS e l’altra dopo un anno ancora. Stiamo scherzando? Non mi avete sempre detto che ogni anno accantonavate i miei soldi? Se ciò corrisponde al vero, in qualche posto devono pur essere, tirateli fuori adesso. In un attimo di incontrovertibile razionalità, tutto cade ai miei piedi: sogni, speranze, progetti, vacanze, devo metterli via ed aspettare due anni e forse tre. Di contro, nessuna indignazione politica o sindacale.

Tutti hanno sempre fatto finta di niente. Non ho mai visto una interrogazione parlamentare in merito, né alcuno sciopero generale da parte dei sindacati su questo diritto negato, solo l’imbarazzante, subdolo ed omertoso silenzio e una palese indifferenza complice di un gioco a discapito sempre del lavoratore. Mi chiedo quando si maturerà la consapevolezza che la pensione è un diritto acquisito dalla costanza contributiva del lavoratore dipendente, senza deroghe o eccezioni. Quei soldi, versati per ben 42 anni e 10 mesi, se li avessi messi in un fondo pensionistico assicurativo avrei maturato interessi e realizzato un piccolo tesoretto senza alcun obbligo di attesa, anzi, dopo soli 5 anni, se ne avessi avuto bisogno, avrei potuto riscattarli. Mi tocca,
invece, assistere, ancora una volta, a questo annullamento dei miei diritti all’insegna di una sorta di mutismo e rassegnazione, in quanto non ho un interlocutore diretto con cui ragionare e protestare nel rivendicare i miei diritti. Lo Stato, rappresentato da una politica che si alterna tra un pressapochismo culturale e l’incompetenza a governare, è totalmente assente e quella sovranità che appartiene al popolo è solo il contenuto, mai applicato, di una nobile Costituzione in mano, quasi sempre, agli sprovveduti del momento.

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