Si può pregare a scuola? Si può praticare la benedizione? Ecco cosa dice lAvvocatura dello Stato

La nostra è una scuola laica e all’interno della laicità si devono saper armonizzare varie credenze e non credenze, la scuola è un contenitore importante, complesso e delicato, che non può e non deve essere confuso come un luogo di culto qualsiasi, per quanto possano apparire come innocue alcune iniziative.  Si può pregare a scuola? La questione è tutt’altro che pacifica.

La definizione di atto di culto

La preghiera è atto di culto? Come si desume dalla nota  dell’UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE-Dove celebrare? (CCC 1179-1186): “mentre la preghiera in quanto semplice atto religioso si può fare dappertutto, la liturgia, invece, in quanto atto di culto pubblico e ordinato, richiede un luogo, di norma un edificio, dove si può realizzare come rito sacro”. Dunque, la preghiera può essere parte di un rito religioso, è un atto religioso, ma non è un mero atto di culto come tale.

Il parere dell’Avvocatura di Stato sull’atto di culto a scuola

Nel 2009 venne trasmessa la nota del Gabinetto del MIUR prot. AOOUFGAB n°900 del 29 gennaio 2009, unitamente al parere reso dall’Avvocatura Generale dello Stato in merito alla questione sull’ammissibilità o meno delle benedizioni religiose e delle celebrazioni di messe in orario scolastico e/o nella scuola. In tale parere emerge sostanzialmente che la messa e benedizione sono riti religiosi, si possono pacificamente ammettere gli atti di culto od i riti religiosi fuori dai locali della scuola, o all’interno della scuola, in orario extrascolastico, e fuori dalla programmazione scolastica; è necessaria la delibera degli organi collegiali e anche una comunicazione interna della scuola.

Si possono svolgere atti di culto anche in orario scolastico ma fuori dai locali della scuola sempre con la libertà di scelta se parteciparvi o meno. Sono categoricamente da evitare atti di culto durante l’ora di religione atteso il carattere culturale di tale insegnamento ed a scuola durante l’orario scolastico, la violazione di ciò espone a provvedimenti di natura disciplinare.

La pratiche religiose si effettuano fuori dai locali scolastici
Il  TAR Emilia Romagna con sentenza n. 250/1993  afferma il principio, che «le celebrazioni di riti e le pratiche religiose non sono “cultura religiosa”, ma essi sono esattamente il colloquio rituale che il credente ha con la propria divinità». Pertanto tali atti si devono realizzare “unicamente nei luoghi a essi naturalmente destinati, che sono le chiese”, e non dunque a scuola “e in sostituzione delle normali ore di lezione”.

Ma la benedizione a scuola è possibile

Il Consiglio di Stato con sentenza N. 01388/2017 a proposito della benedizione pasquale rileva che è un rito religioso, rivolto all’incontro tra chi svolge il ministero pastorale e le famiglie o le altre comunità, nei luoghi in cui queste risiedono, caratterizzato dalla brevità e dalla semplicità, senza necessità di particolari preparativi.

“Il fine di tale rito, per chi ne condivide l’intimo significato e ne accetta la pratica, è anche quello di ricordare la presenza di Dio nei luoghi dove si vive o si lavora, sottolineandone la stretta correlazione con le persone che a tale titolo li frequentano. Non avrebbe senso infatti la benedizione dei soli locali, senza la presenza degli appartenenti alle relative comunità di credenti, non potendo tale vicenda risolversi in una pratica di superstizione.

Tale rito dunque, per chi intende praticarlo, ha senso in quanto celebrato in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, comunque, il medesimo senso) se celebrato altrove; e ciò spiega il motivo per cui possa chiedersi che esso si svolga nelle scuole, alla presenza di chi vi acconsente e fuori dall’orario scolastico, senza che ciò possa minimamente ledere, neppure indirettamente, il pensiero o il sentimento, religioso o no, di chiunque altro che, pur appartenente alla medesima comunità, non condivida quel medesimo pensiero e che dunque, non partecipando all’evento, non possa in alcun senso sentirsi leso da esso.

Deve quindi concludersi che la “benedizione pasquale” nelle scuole non possa in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e della vita scolastica in generale. E ciò non diversamente dalle diverse attività “parascolastiche” che, oltretutto, possono essere programmate o autorizzate dagli organi di autonomia delle singole scuole anche senza una formale delibera”.

Concludo il CDS che “È appena il caso di rilevare che non può logicamente attribuirsi al rito delle benedizioni pasquali un trattamento deteriore rispetto ad altre diverse attività “parascolastiche” non aventi alcun nesso con la religione, soprattutto ove si tenga conto della volontarietà e della facoltatività della partecipazione nella prima ipotesi, ma anche che nell’ordinamento non è rinvenibile alcun divieto di autorizzare lo svolgimento nell’edificio scolastico, ovviamente fuori dell’orario di lezione e con la più completa libertà di parteciparvi o meno, di attività (ivi inclusi gli atti di culto) di tipo religioso. Ed ancora, c’è da chiedersi come sia possibile che un (minimo) impiego di tempo sottratto alle ordinarie e le attività scolastiche, sia del tutto legittimo o tollerabile se rivolto a consentire la partecipazione degli studenti ad attività “parascolastiche” diverse da quella di cui trattasi, ad esempio di natura culturale o sportiva, o anche semplicemente ricreativa, mentre si trasformi, invece, in un non consentito dispendio di tempo se relativo ad un evento di natura religiosa, oltretutto rigorosamente al di fuori dell’orario scolastico.

Va aggiunto che, per un elementare principio di non discriminazione, non può attribuirsi alla natura religiosa di un’attività, una valenza negativa tale da renderla vietata o intollerabile unicamente perché espressione di una fede religiosa, mentre, se non avesse tale carattere, sarebbe ritenuta ammissibile e legittima.

Del resto, la stessa Costituzione, all’art. 20, nello stabilire che «il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative (…) per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività», pone un divieto di un trattamento deteriore, sotto ogni aspetto, delle manifestazioni religiose in quanto tali.

Ovviamente, la partecipazione ad una qualsiasi manifestazione o rito religiosi (sia nella scuola che in altre sedi) non può che essere facoltativa e libera, non potendo non godere, solo perché tale, di minori spazi di libertà e di minore rispetto di quelli che sono riconosciuti a manifestazioni di altro genere, nonché tollerante nei confronti di chi esprime sentimenti e fedi diverse, ovvero di chi non esprime o manifesta alcuna fede“.

Il codice di condotta dei dipendenti pubblici

L’articolo 3 comma 1 del Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. (13G00104) afferma categoricamente che il  dipendente osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialita’ dell’azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui e’ titolare.

Conclusione

La preghiera non è un atto di culto, ma è anche vero che è un elemento proprio di un atto di culto, di un rito religioso. È totalmente irrilevante che in una scuola od in una classe vi sia il consenso, il benestare, di tutta la comunità scolastica allo svolgimento di preghiere, durante la normale attività scolastica, perchè tutti cattolici, e nessuno laico, ateo o di altro credo. La scuola pubblica italiana non va confusa con una Chiesa o con la propria dimora privata.

Non essendoci una norma ad hoc che vieti espressamente lo svolgimento delle preghiere a scuola, per quanto queste possano essere nobili ed “innocue”, in via analogica, che è un procedimento mediante il quale qualora vi sia una lacuna (ovvero quando un caso o una materia non siano espressamente disciplinati), si applicano le norme previste per casi simili o materie analoghe, si può sostenere che la preghiera, essendo parte integrante di un tipico atto di culto e di un rito religioso, pur non essendo un rito religioso ed un atto di culto vero e proprio, dovrebbe sottostare alle stesse medesime regole degli atti di culto e riti religiosi a scuola come disciplinate ad esempio dal parere dell’Avvocatura di Stato del 2009.

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