di Roberto Saviano
La foto ritrae lo scrittore Salman Rushdie e me all’Accademia dei Nobel nel 2008. Ci invitarono a tenere un discorso sulla libert di espressione. Avevo 31 anni all’epoca e lui mi disse: “Ti daranno la colpa di non essere morto”. Aveva ragione
Questa rubrica di Roberto Saviano stata pubblicata su 7 in edicola il 9 dicembre. E’ dedicata alla fotografia. Meglio, ad una foto da condividere con voi — spiega l’autore — che possa raccontare una storia attraverso uno scatto. Perch la fotografia testimonianza e indica il compito di dare e di essere prova. Una prova quando la incontri devi proteggerla, mostrarla, testimoniarla. Devi diventare tu stesso prova
Ricorderete cosa accaduto a Salman Rushdie lo scorso 12 agosto. stato vittima di un attentato mentre stava per tenere una lectio al festival letterario di Chautauqua, nello Stato di New York. Una aggressione ferocissima che ha sconvolto il mondo intellettuale, ma non come mi sarei aspettato. Ormai come se avessimo raggiunto uno stadio collettivo da terza et, quella condizione in cui tutto ci sembra gi visto e quindi ci sentiamo in diritto di passare oltre. Il retropensiero : cos’altro aggiungiamo a quanto gi detto negli anni? quello che riteniamo essere il nostro diritto alla superficialit. Un diritto che ci arroghiamo e ci porta continuamente danno: non si pi in grado di fare analisi che vadano oltre il visibile, si preda di una pavidit che diretta conseguenza della scarsa conoscenza, conseguenza a sua volta della incapacit di esercitare la memoria. Meno so, pi prendo parte quando c’ ammuina, ma mi ritraggo non appena le voci si abbassano e si entra nel merito.
UN RETROPENSIERO REGGE QUESTO COMPORTAMENTO: COS’ALTRO POTREMMO AGGIUNGERE A QUANTO GI DETTO?
Mi hanno colpito le critiche a chi ha giustamente fatto del Mondiale di calcio un luogo importante da cui affermare la necessit di garantire i diritti fondamentali delle persone. Se si arriva a dire: Vai in Qatar, accetta le sue regole e taci vuol dire che si introiettato a tal punto il diritto alla superficialit da non comprendere nemmeno quando una vergogna esercitarlo. Salman Rushdie un grande scrittore, molto coraggioso e generoso, che dopo quelle 70 coltellate stato lasciato solo. La comunit degli intellettuali e dei giornalisti – sto seriamente mettendo in discussione la coesione se non addirittura l’esistenza di tali comunit – stata incredibilmente fredda; non importa quanti messaggi privati gli siano giunti, e non valgono nemmeno gli articoli in suo sostegno. Quella che mancata una vera e propria presa di posizione. E ci accaduto perch non c’ stata presa di coscienza. Si sono organizzati reading: iniziative personali, per, nulla di concertato, nulla di deciso insieme perch fosse inequivocabile la posizione di chi fa cultura.
Ecco la diretta conseguenza dell’esercizio del diritto alla superficialit. Avere conoscenza di ci che accade, significa anche avere il coraggio di assumere una posizione. Oggi invece non si assumono pi posizioni, si resta nel mezzo, si cerca di non parlare male o attaccare nessuno. O, per meglio dire, si cerca di non attaccare nessuno che possa essere ricondotto a una comunit pi o meno numerosa, pi o meno violenta, pi o meno attiva sui social. Il singolo e il simbolo si possono attaccare purch non rappresentino un pericolo: sono invece quei singoli e quei simboli riconducibili a comunit folte che si evita di attaccare. Nel caso di Rushdie non ci sono state prese di posizione nette e inequivocabili contro la tirannide iraniana, contro il fondamentalismo di matrice islamista, contro la follia religiosa. Questa attitudine all’estrema pavidit tanto pi evidente dal barbaro assassinio di Mahsa Amini: quello che sta accadendo in Iran, per larga parte della classe politica e dei media, “cosa di niente”.
LO SCRITTORE HA RESISTITO A DIVENTARE UN SIMBOLO. MA IN QUESTO MOMENTO SOLO, COME SIAMO TUTTI NOI
Ma cosa imputano gli “amici” a Salman Rushdie? Che lui in qualche modo abbia offeso, che in qualche modo abbia oltrepassato un limite che non avrebbe dovuto valicare. Certo, stigmatizzano la violenza di cui stato vittima. Ma lo biasimano per le scelte fatte, non conoscendo affatto la sua storia. Salman Rushdie finito nel mirino degli ayatollah non perch abbia insultato la religione, ma per essere un intellettuale di formazione islamica non allineato al regime di Khomeini, che all’epoca riusc addirittura a sedurre intellettuali come Michael Foucault, truffati dall’ipotesi della rivoluzione iraniana. Rushdie chiede persino scusa, ma nulla cambia perch la questione non religiosa.
Salman Rushdie sta rispondendo con grande coraggio a ci che ha subito: ha perso un occhio e sembra che abbia anche molta difficolt a muovere un braccio. La sua grandezza sta nell’essere riuscito negli anni a mantenersi libero, a non essersi sentito costretto a fare di s stesso un testimone, un simbolo della lotta agli ayatollah. Eppure in questo momento Rushdie incarna la solitudine che proviamo tutti noi. In questa foto siamo insieme, all’Accademia dei Nobel nel 2008. Ci invitarono a tenere un discorso sulla libert di espressione. Ti daranno la colpa di non essere morto, mi disse. Avevo 31 anni e poca esperienza. Non gli credetti. Aveva ragione.
9 dicembre 2022 (modifica il 9 dicembre 2022 | 08:41)
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, 2022-12-09 07:45:00, «La foto ritrae lo scrittore Salman Rushdie e me all’Accademia dei Nobel nel 2008. Ci invitarono a tenere un discorso sulla libertà di espressione». «Avevo 31 anni all’epoca e lui mi disse: “Ti daranno la colpa di non essere morto”. Aveva ragione» , Roberto Saviano