di Paolo Decrestina e Claudio Bozza Nel faccia a faccia tra Draghi e il leader M5S, il premier ha mostrato al suo predecessore i dati che testimoniano l’incremento delle spese per la difesa negli ultimi anni, scelte anche frutto di un accordo Nato del 2014 che l’Italia ha sempre rispettato Lo scontro è aspro e le prospettive sono difficili da decifrare, perché secondo Palazzo Chigi «se si mettono in discussione gli impegni assunti viene meno il patto che tiene in piedi la maggioranza». La spaccatura tra Draghi e Conte sull’aumento delle spese militari si è resa evidente martedì, con l’incontro molto teso tra il premier e il suo predecessore, un faccia a faccia finito in un vicolo cieco. Ma di quali impegni parla Draghi? Perché Conte mantiene una linea così dura, a tal punto da rischiare una crisi di governo, durante il conflitto in Ucraina? La posizione del presidente del Consiglio è molto chiara: l’Italia deve continuare a onorare i patti siglati nel 2014 in sede Nato, a maggior ragione con una guerra sanguinosa alle porte dell’Europa. Insomma, «il governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni tra i Paesi dell’Alleanza atlantica sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil». Mentre il leader del Movimento 5 Stelle, fresco della conferma con il voto della base grillina (ma con la spada di Damocle del Tribunale di Napoli che ne ha congelato la leadership), sostiene che le priorità del Paese debbano essere altre: quei fondi per Difesa e armamenti, in un momento come questo, vanno destinati a tamponare i problemi degli italiani, come caro bollette ed altre emergenze sociali. Le posizioni quindi sono nette e contrapposte. Ma la scintilla che ha innescato la bufera è scattata quando Draghi, martedì durante il faccia a faccia, ha confrontato l’operato del suo governo con quelli precedenti, guidati proprio da Conte. I numeri parlano di un aumento progressivo delle spese per la Difesa, appunto in ottemperanza all’accordo siglato dalla Nato nel 2014 (quindi ben prima dell’arrivo di Conte a Palazzo Chigi). Ma vediamo allora cosa dicono questi numeri. Innanzitutto la progressione: al 2019 al 2021, ossia nel periodo del Conte I e del Conte II, il bilancio della Difesa è stato in costante crescita, più precisamente si è passati dai 21,4 miliardi del 2019, ai 22,9 del 2020, ai 24,6 del 2021. Per il 2022 il bilancio di previsione tocca quota 25,9 miliardi. E’ appunto il trend frutto dell’intesa firmata nel 2014 da tutti i Paesi della Nato per garantire la sicurezza collettiva portando tutti i governi ad investire il 2% del Pil per le spese militari, entro il 2024. Stiamo parlando del burden sharing, ovvero il rispetto di questi impegni assunti durante il Summit Nato in Galles nel settembre 2014, poi ribaditi a Varsavia nel 2016 con il cosiddetto Defence Investment Pledge (DIP). L’obiettivo del 2%, nel 2021, è stato raggiunto da dieci governi (su 30), rispetto agli undici del 2020. Oltre agli Stati Uniti (3,52%), ci sono Grecia (3,82%), Croazia (2,79%), Regno Unito (2,29%), Estonia (2,28%), Lettonia (2,27%), Polonia (2,10%), Lituania (2,03%), Romania (2,02%), Francia (2,01%). E l’Italia? Nel 2020 il rapporto tra le spese per la difesa ed il Pil del nostro Paese si assesta intorno all’1,39 per cento, in aumento rispetto al 2019 (1,18%), al 2018 (1,23%) e al 2017 (1,20%): cifre importanti, ma ancora ben lontane dal traguardo del 2%. In conclusione, anche negli anni della crisi per la pandemia, scoppiata nei primi mesi del 2020, il governo italiano ha comunque rispettato i patti assunti nel 2014 aumentando gradualmente le spese militari, passando quindi da 21,4 miliardi del 2019 ai 24,6 del 2021. Sono i numeri che il premier Draghi ha mostrato a Conte nel corso del confronto: numeri frutti di accordi rispettati dai governi e che ora il leader M5S vuole rivedere mettendo a rischio anche la stabilità del governo, e anche gli equilibri all’interno dell’Alleanza atlantica. 30 marzo 2022 (modifica il 30 marzo 2022 | 13:42) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-30 12:15:00, Nel faccia a faccia tra Draghi e il leader M5S, il premier ha mostrato al suo predecessore i dati che testimoniano l’incremento delle spese per la difesa negli ultimi anni, scelte anche frutto di un accordo Nato del 2014 che l’Italia ha sempre rispettato, Paolo Decrestina e Claudio Bozza