Stefano Boeri: «A scuola sbagliavo sempre a disegnare gli alberi. Ho l’ossessione per il verde, sono daltonico»

di Massimo Sideri

L’architetto: «Diventare sindaco di Milano mi sarebbe piaciuto, l’avrei fatto bene». «Quella del primo cittadino è una politica che guarda più agli obiettivi delle azioni in maniera verticale. La politica invece rappresenta i partiti più su un piano orizzontale»

Stefano Boeri, 65 anni, architetto, presidente della Triennale di Milano, più archistreet (suo il copyright) che archistar — «è meglio che gli architetti guardino verso le persone che verso le stelle» —, figlio della designer e architetta Cini Boeri. Fratello di Tito (l’economista della Bocconi) e Sandro (giornalista scientifico). Sindaco mancato e ormai non se ne parla più («ma avrei fatto un buon lavoro»). E un debito con il «Barone rampante» di Italo Calvino (chi non lo ha?) che ha influenzato il suo lavoro culminato nel Bosco verticale, ormai l’icona di Milano, il ponte di Brooklyn della città. Ha un’ossessione e un segreto. L’ossessione è quella per gli alberi. E il segreto? «Sono daltonico come mio fratello Sandro e mio zio, una tipologia di daltonismo genetico: non vediamo la linea di demarcazione tra il verde e il marrone. Non è che non vediamo il verde con tutte le sue sfumature, ma nel passaggio tra i due colori entriamo in una sorta di beige indefinito».

Sono i due colori degli alberi, non può essere un caso…
«Difatti me ne sono accorto quando ero a scuola: sbagliavo a disegnare proprio gli alberi. È un po’ motivo di imbarazzo per me: è singolare che poi alla fine io abbia lavorato sul verde. In un certo senso questo carattere genetico mi ha portato a vedere con maggiore attenzione proprio quello che non vedevo».

Mai provati gli occhiali per daltonici?
«Mai, mi fanno un po’ paura. Scoprirei come vedono tutti gli altri. La mia ossessione per il verde nasce anche da questo problema: credo che ci siano dei limiti personali su cui implicitamente lavoriamo».

Di che colore vede Milano?
«Nella mia memoria la Milano degli anni Settanta dove ho vissuto la mia adolescenza è una città in bianco e nero. Il bianco e nero erano letterali: inquinamento spaventoso, nebbia, fumi dei lacrimogeni. Era un luogo cupo, molto violento. Era così…» (Boeri mostra una fotografia nel suo ufficio mentre da giovane — «sarà stato il ’72?» — partecipava a una commemorazione per la strage di Piazza Fontana).

Quel giorno si trovava lì per caso o partecipava attivamente?
«Sono stato molto attivo e ho partecipato al movimento studentesco negli anni del liceo Manzoni, fino all’inizio dell’università. Seguivo Sandro, mio fratello, che ha sei anni in più di me e che era molto attivo nella sinistra extraparlamentare. C’era questa aria di violenza nelle piazze, esacerbata dalle tensioni. Il verde non c’era».

Quando arriva il colore?
«C’erano già allora sprazzi di colore: per esempio ho un ricordo pazzesco del negozio di Fiorucci in Galleria Passarella: era una specie di mondo a sé. Per me il colore era Carmelo Bene e il teatro di avanguardia che aveva rotto un po’ con il bianco e nero del Piccolo di Strehler. E poi c’erano anche i colori del movimento femminista, un’ondata di colori, e quelli della musica».

Cosa ascoltava il giovane Boeri?
«Il rock progressive: i Pink Floyd, i Van der Graaf Generator, gli Emerson Lake & Palmer. Ero un po’ romantico e quindi può darsi che anche questo abbia inciso nell’ossessione per il verde e per gli alberi che a un certo punto è entrata nella mia vita di architetto senza che io l’abbia mai coltivata: è stata una cosa abbastanza naturale. Credo che nella vita le ossessioni vadano sempre curate, anche se dobbiamo controllarle. Comunque ci sono, inutile fingere, ed è meglio governarle».

È l’altra faccia della medaglia delle sue passioni?
«Forse, anche se la passione è più intenzionale, l’ossessione è più una corrente che ti trovi dentro».

La politica è per lei più un’ossessione o una passione?
«La politica ha sempre fatto parte della vita di famiglia: un nonno paterno, Giovanni Battista, che era stato molto attivo nel Partito liberale, poi in quello Repubblicano e infine nel Partito di azione ed era amico di Ferruccio Parri. I miei genitori che avevano partecipato alla Resistenza. Mia madre aveva fatto la staffetta partigiana. Fu lo stesso Parri a sposare i miei genitori. C’è un’impronta di famiglia in questo, inutile discutere».

Non sarebbe più disposto a correre come sindaco di Milano?
«Assolutamente no, però al tempo avrei voluto farlo. Mi aveva convinto Guido Rossi».

Sarebbe stato un buon sindaco?
«Credo di sì, non sarei stato un buon politico, però avevo chiaro che avrei potuto fare bene il sindaco. Quando ho fatto politica con il Pd non ha funzionato ma come sindaco sarebbe stato diverso: quella del primo cittadino è una politica che guarda più agli obiettivi delle tue azioni in maniera verticale. La politica invece rappresenta i partiti più su un piano orizzontale».

Non poteva funzionare per un architetto di grattacieli…
«Il Pd mi fece lo sgambetto, ero entrato con ingenuità. Avevo addirittura chiuso lo studio in quella occasione e ricordo che avevamo il cantiere del Bosco verticale aperto. Poi ho avuto l’esperienza da assessore, ma molto breve: litigai subito con Pisapia. C’era totale distanza su tutto, anche culturale».

E Roma? Così lontana, così vicina?
«Gualtieri mi aveva chiesto di fare l’assessore per l’urbanistica, ho detto di no, ma ho accettato di lavorare con dei giovani architetti per la visione di Roma 2050».

A proposito di famiglia. Il rapporto con sua madre? Burrascoso…
«Aveva un carattere e una figura molto forti. Era un genio e una donna di eleganza assoluta».

Avete fatto soltanto una casa insieme, un’unica esperienza di lavoro. Non finì bene.
«Io guardavo tutto dall’esterno, lei tutto dall’interno, due approcci molto diversi».

Un rammarico?
«Più che un rammarico ho un grande cruccio: credo che sarebbe importante fare una mostra su Cini Boeri, ma sono consapevole che non posso farla io. E peraltro so che la Triennale sarebbe il luogo corretto per farla. Faremo una grande mostra su Gae Aulenti e così come è giusto farla su di lei sarebbe giusto farla su mia madre».

Il rapporto con sua madre ha influenzato anche il suo percorso iniziale…
«Volevo fare oceanografia, ma c’era soltanto a Nizza o in Australia. Decisi allora di fare la cosa più distante da mia madre, urbanistica. A causa di questo per anni e per tanti colleghi sono stato un architetto di serie B. Anche Vittorio Gregotti che era un amico di mia madre diceva: bravo Boeri, ma è un urbanista…».

Sta partendo per l’Egitto dove si terrà la Cop27. Ci sarà anche Norman Foster con cui ha appena firmato un manifesto sulla sostenibilità.
«Lo vogliamo portare a tutti i livelli. Ma dobbiamo anche accettare di discutere in maniera lucida e con grande attenzione sulle prospettive della sostenibilità».

Pensa a qualcosa in particolare?
«Sono stato da Foster a Madrid e mi ha fatto vedere un suo lavoro sulla progettazione di batterie nucleari».

Cosa aveva votato nel referendum sul nucleare?
«Contro, come tutti. Era dopo Chernobyl. Ma proprio per questo oggi vorrei aprire un dibattito portando questi prototipi in Triennale».

4 novembre 2022 (modifica il 4 novembre 2022 | 22:23)

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, 2022-11-04 22:39:00, L’architetto: «Diventare sindaco di Milano mi sarebbe piaciuto, l’avrei fatto bene». «Quella del primo cittadino è una politica che guarda più agli obiettivi delle azioni in maniera verticale. La politica invece rappresenta i partiti più su un piano orizzontale» , Massimo Sideri

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