di Aldo Grasso
La quarta stagione della serie di Netflix riesce però a costruire personaggi percepiti come famigliari anche laddove poco caratterizzati
La quarta stagione di Stranger Things, la serie Netflix che ha riattivato in milioni di fan tutto l’immaginario memoriale e nostalgico degli anni ’80, manifesta subito un serio problema di struttura: la durata degli episodi. Non che produzioni anche recenti non ci abbiano abituati a episodi estesi e dilatati, ma superare mediamente l’ora di formato (con una punta di 98 minuti per l’episodio finale di questo «primo volume», altri due episodi sono in arrivo dal 1° luglio) pone fatalmente una questione che risulta ancora più contraddittoria per un titolo che ha sempre fatto del binge watching, e della capacità di lasciarsi consumare episodio dopo episodio in estenuanti maratone, uno degli elementi distintivi. È vero che la complessità della storia (delle storie), con il compimento e il rilancio di diverse storylines che si erano compiute con il finale della terza stagione (peraltro terminata ormai anni fa), necessitava di doversi prendere del tempo per riarticolare e riattualizzare le diverse trame, ma forse c’è stata esagerazione.
Il punto di partenza della quarta stagione è la convergenza di tre elementi fondanti: la partenza di Undici (la bambina con poteri soprannaturali) con Joyce, Will e Jonathan per la California, il mistero sulla fine di Hopper, che si intuiva essere ancora vivo e rapito dai sovietici, e di nuovo la cittadina di Hawkins nell’Indiana, luogo centrale di tutta la narrazione che riparte dal 1986. Superato l’ostacolo dell’estensione, la serie dei Duffer Brothers si conferma per la capacità di costruire personaggi percepiti come famigliari anche laddove poco caratterizzati, di spingere all’estremo la tensione e colpi di scena sconvolgenti, di giocare in maniera furba ma efficace con l’accumulo citazionista dell’armamentario degli anni Ottanta. Se le prime stagioni strizzavano l’occhio ai Goonies, qui l’omaggio è a Nightmare e Freddy Kruger.
3 giugno 2022 (modifica il 3 giugno 2022 | 20:03)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-06-03 19:54:00,
di Aldo Grasso
La quarta stagione della serie di Netflix riesce però a costruire personaggi percepiti come famigliari anche laddove poco caratterizzati
La quarta stagione di Stranger Things, la serie Netflix che ha riattivato in milioni di fan tutto l’immaginario memoriale e nostalgico degli anni ’80, manifesta subito un serio problema di struttura: la durata degli episodi. Non che produzioni anche recenti non ci abbiano abituati a episodi estesi e dilatati, ma superare mediamente l’ora di formato (con una punta di 98 minuti per l’episodio finale di questo «primo volume», altri due episodi sono in arrivo dal 1° luglio) pone fatalmente una questione che risulta ancora più contraddittoria per un titolo che ha sempre fatto del binge watching, e della capacità di lasciarsi consumare episodio dopo episodio in estenuanti maratone, uno degli elementi distintivi. È vero che la complessità della storia (delle storie), con il compimento e il rilancio di diverse storylines che si erano compiute con il finale della terza stagione (peraltro terminata ormai anni fa), necessitava di doversi prendere del tempo per riarticolare e riattualizzare le diverse trame, ma forse c’è stata esagerazione.
Il punto di partenza della quarta stagione è la convergenza di tre elementi fondanti: la partenza di Undici (la bambina con poteri soprannaturali) con Joyce, Will e Jonathan per la California, il mistero sulla fine di Hopper, che si intuiva essere ancora vivo e rapito dai sovietici, e di nuovo la cittadina di Hawkins nell’Indiana, luogo centrale di tutta la narrazione che riparte dal 1986. Superato l’ostacolo dell’estensione, la serie dei Duffer Brothers si conferma per la capacità di costruire personaggi percepiti come famigliari anche laddove poco caratterizzati, di spingere all’estremo la tensione e colpi di scena sconvolgenti, di giocare in maniera furba ma efficace con l’accumulo citazionista dell’armamentario degli anni Ottanta. Se le prime stagioni strizzavano l’occhio ai Goonies, qui l’omaggio è a Nightmare e Freddy Kruger.
3 giugno 2022 (modifica il 3 giugno 2022 | 20:03)
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