I recenti episodi di violenza messi in atto da studenti nei confronti dei docenti stanno creando non poco sconcerto. Il dato più complesso da comprendere e da affrontare riguarda forse le posizioni, anche opposte, che stanno emergendo. Nel caso di Abbiategrasso, dove uno studente ha accoltellato la sua docente, i genitori hanno già presentato ricorso contro la bocciatura del ragazzo mentre l’insegnante “impallinata” da alcuni alunni in una scuola di Rovigo protesta per la decisione del consiglio di classe di attribuire 8 e 9 in condotta ai ragazzi colpevoli di un atto che è già all’attenzione del Tribunale dei Minori. Tutto questo mette in evidenza una questione importante sotto il profilo educativo: su come affrontare casi del genere non c’è affatto comunione di intenti, tutt’altro. Evidentemente non è bastato aver introdotto nell’ultimo contratto nazionale del comparto un passaggio che in più di una occasione è stato sottolineato con forza dagli stessi sindacati. Ci riferiamo all’articolo 24 che proclama: “La scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, improntata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. Il secondo comma sottolinea: “Appartengono alla comunità educante il dirigente scolastico, il personale docente ed educativo, il DSGA e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, nonché le famiglie, gli alunni e gli studenti che partecipano alla comunità nell’ambito degli organi collegiali previsti dal d.lgs. n. 297/1994”. Quando venne sottoscritto il contratto, questo articolo venne molto enfatizzato dai sindacati; commentava per esempio Flc-Cgil: “Sarebbe un errore interpretare, come qualcuno vorrebbe fare, la comunità educante come inutili parole che non scalfiranno la realtà. La realtà delle cose che il CCNL metterà in moto rapidamente dimostrerà il contrario”. Purtroppo la realtà delle cose non sta dando molto ragione a questa lettura dei fatti: l’articolo 24 del contratto si sta dimostrando pressoché inutile ai fini della costruzione di una vera comunità educante. Le ragioni, a parere di chi scrive, sono abbastanza semplici. Quello di “comunità educante” è un costrutto tipicamente pedagogico e, come tale, andrebbe affrontato con appositi strumenti e non certamente in chiave “contrattualistica”. “La comunità – scrive per esempio Riziero Zucchi, formatore, pedagogista che da decenni i occupa di “pedagogia dei genitori” – non è data, ma la si costruisce giorno per giorno continuamente, è una possibilità di esistere e di autorealizzarsi. Nella costruzione di una comunità si propongono valori in azione che vanno in senso contrario alle concezioni che sostanziano la visione della società in cui viviamo. Alla triade ‘competizione, concorrenza, produttività’ la comunità sostituisce ‘cura, cooperazione, uguaglianza’”. Una scuola-comunità educante presuppone condivisione sui principi e sui valori, ma la condivisione non è data una volta per tutte, va ricercata a costruita; e il processo di costruzione non è semplice e lineare, non basta scrivere in un contratto di lavoro che “si deve fare comunità”. Perché a saper vivere insieme non si impara per decreto, per legge o per contratto; imparare a vivere insieme, al contrario, è una pratica quotidiana che richiede un continuo “esercizio” di confronto basato sul rispetto delle regole.
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