L’intervento
di Federico Fubini04 feb 2023
Il decreto del governo sul Piano nazionale di ripresa (Pnrr) potrebbe slittare dal 9 febbraio alla successiva. Ma attorno alla gestione dei fondi europei in Italia si stanno profilando gi due cambiamenti di fondo. Uno riguarda i possibili accordi con altri Paesi – Germania in testa – ma l’altro coinvolge gli assetti di potere interni all’esecutivo, con uno spostamento di competenze dal ministero dell’Economia (Mef) alla presidenza del Consiglio. E per quanto distinte nei negoziati e provvedimenti che le riguardano, le due dinamiche sono collegate da un aspetto: entrambe verranno discusse nei prossimi giorni a Bruxelles, prima di qualunque decisione.
Ma andiamo con ordine, partendo dagli esiti dell’incontro di venerd tra Giorgia Meloni e Olaf Scholz. I leader di Italia e Germania non hanno raggiunto un accordo, in vista del vertice di gioved a Bruxelles sulla risposta europea alla politica industriale americana fatta di sussidi per oltre mille miliardi di dollari (fra i programmi “Build Back Better”, “Chips Act” e “Inflation Reduction Act”). Non c’ un accordo ma, secondo alcuni osservatori, ne sono emersi almeno i possibili termini: l’Italia offre sostegno all’idea tedesca di rimuovere molti dei vincoli sugli aiuti di Stato all’industria, a condizione che Berlino appoggi a Bruxelles la “flessibilit” richiesta dal governo Meloni sui fondi europei. Essa riguarderebbe sia i tempi di spesa e rendicontazione dei circa duecento miliardi di euro del Pnrr – che si vorrebbe estendere dal 2026 previsto oggi al 2027-2029 – sia l’opzione di rivedere a fondo alcuni progetti.
Il negoziato aperto. Potrebbe chiudersi al vertice europeo della settimana prossima o in quello di marzo. Sembra comunque probabile che, quanto meno, Berlino chieda all’Italia anche di rinunciare per ora all’idea di nuovi fondi comuni europei dopo il Recovery. Ora con un argomento in pi dalla parte tedesca: se l’Italia chiede “flessibilit” perch sta incontrando problemi di programmazione ed esecuzione sulle risorse gi stanziate, dunque sembra prematuro un nuovo fondo comune europeo prima che lo stesso Paese che ne beneficia di pi dimostri la praticabilit del Pnrr.
Se ne parler a Bruxelles nei prossimi giorni, in parallelo a consultazioni su un tema estremamente sensibile a Roma: lo spostamento di buona parte del potere di progettazione, controllo, impulso e di diplomazia europea dal ministero dell’Economia a Palazzo Chigi. Riguardo al Pnrr e parte della politica economica in genere Misure in questa direzione – secondo vari osservatori – rientreranno nel decreto sul Piano di ripresa che dovrebbe passare in Consiglio dei ministri a met mese. Nei prossimi due giorni Raffaele Fitto, ministro degli Affari europei, sonder meglio anche la Commissione europea in proposito. Il governo non tenuto a farlo, ma vuole prevenire sorprese e tensioni con la Commissione Ue. Meloni sarebbe concorde con il progetto sul rafforzamento di Palazzo Chigi e lo stesso Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, non si oppone.
L’idea di fondo creare alla presidenza del Consiglio una struttura che fra i 60 e gli 80 funzionari – in parte dalla fusione fra uffici esistenti, in parte con aggiunte dall’esterno –, e risponda a Fitto stesso. Con funzioni di ridisegnare il Piano per includere i progetti per l’industria verde di RePowerEU (anche soppiantando mansioni del ministero dell’Ambiente), monitorare l’esecuzione a livello decentrato, intervenire in caso di problemi, integrare la spesa del Pnrr con quella i 43 miliardi dei fondi europei tradizionali.
Non sarebbe un cambio da poco. Nella Ragioneria dello Stato, presso il Mef, serpeggia gi il nervosismo di chi si sente ormai escluso dalle riunioni importanti sul Pnrr. Di certo dai tempi di Mario Draghi direttore del Tesoro fino al 1991, poi Carlo Azeglio Ciampi ministro del Tesoro nella seconda met di quel decennio, quindi Giulio Tremonti nei governi di centro-destra, da trent’anni in Italia il dicastero di Via XX Settembre ha sempre avuto un ruolo speciale. Sia nel governo che nel confronto con Bruxelles. Gi il secondo governo di Giuseppe Conte cerc di spostare su Palazzo Chigi i poteri sul Pnrr e da l part la sua fine. Se il governo Meloni ora cambia, dev’essere perch teme di non poter gestire il Pnrr altrimenti. Comunque vada, per lei la posta in gioco non potrebbe essere pi alta.
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