L’investimento sul digitale e su una didattica innovativa (ha senso definirla ancora “innovativa”?) è un passaggio importante per la scuola, anche perché la pandemia ha mostrato qualcosa che non si può cancellare. Bisogna capire, semmai, se, dalla necessità, possa nascere qualcosa di strutturato.
“Prima era demonizzato, poi, durante la pandemia, è stato santificato perché il cellulare ha permesso di svolgere la DaD”. Intervenuta durante la diretta di Orizzonte Scuola (qui il video completo), Dianora Bardi, membro del comitato tecnico-scientifico del PNSD e cofondatrice di ImParaDigitale, è stata particolarmente decisa.
“Tornando in presenza, moltissime scuole – ha affermato Bardi – stanno prendendo le tecnologie e le mettono in un cassetto, perché finalmente siamo tornati alle relazioni tradizionali. Le cose, però, devono essere analizzate da tutti i punti di vista. L’utilizzo della tecnologia implica un modo di fare scuola che tenga conto del cambiamento profondo dei ragazzi: noi continuiamo a parlare degli studenti senza dar voce agli studenti”.
Racconta, infatti, di un sondaggio che è stato condotto in collaborazione con Scuola Zoo, un portale di informazione degli studenti, i cui risultati sono indicativi. “Il 63% degli intervistati ci ha detto chiaramente che della valutazione non gli importa nulla. Gli importa solo nella misura in cui la valutazione sia in grado di far crescere lo studente”.
Ma cosa vuol dire valutare?
“Oggi la scuola – prosegue Bardi – valuta sui contenuti: conosci una data, un contenuto, il programma da svolgere. Non si è fatto un passaggio fondamentale: la valutazione si fa sul processo di apprendimento dei ragazzi, è il momento in cui si analizza e si osserva il processo di apprendimento dei ragazzi”. E spiega: “nella didattica per competenze, che serviva per andare vicino al nuovo modo di apprendere dei nostri ragazzi, la valutazione diventava automaticamente un modo per dare al ragazzo delle indicazioni su come superare le proprie criticità o sviluppare i talenti“, che si traduce in “lavoriamo insieme e togliamo lo stress dell’osservazione intesa come giudizio: questo i ragazzi ce lo stanno dicendo in modo chiaro e noi dobbiamo ascoltarli”.
E sottolinea come sia cambiato il paradigma di apprendimento dei ragazzi, che si rivolgono principalmente alla rete. “Dobbiamo renderci conto – sottolinea, infatti, Bardi – degli ambienti di apprendimento che vivono, degli strumenti che usano, del modo in cui interagiscono, del rapporto che hanno tra ragazzi, che sono molto più importanti dei rapporti tra i ragazzi con gli adulti. I ragazzi sono cambiati. O noi ci rendiamo conto di questo o vogliamo tornare al tradizionale pensando che gli ultimi 4 anni non siano esistiti: quando si dice che bisogna abolire la DaD, trovo che sia una presa di posizione rigida e antistorica. Ma i ragazzi sono davvero protagonisti dei loro processi di apprendimento, quando gestiamo tutto gli adulti e i ragazzi devono fare ciò che gli adulti chiedono? Dove sta il loro protagonismo?”.
Semmai, conclude Bardi, “dobbiamo riconquistarli, attraverso delle lezioni intelligenti, coinvolgenti: se riusciamo a fare questo, il cellulare se lo scordano. Non c’è bisogno di prenderlo e metterlo nel cassetto. Loro lo usano, come noi usavamo i bigliettini sotto al banco. Non è il cellulare la causa, ma un effetto: la causa è la noia, il non trovarsi coinvolti nella lezione”.
, 2022-12-06 09:30:00, L’investimento sul digitale e su una didattica innovativa (ha senso definirla ancora “innovativa”?) è un passaggio importante per la scuola, anche perché la pandemia ha mostrato qualcosa che non si può cancellare. Bisogna capire, semmai, se, dalla necessità, possa nascere qualcosa di strutturato.
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