Telefonini in classe, una riflessione. Lettera

Inviato da Enrico Maranzana -E’ fuorviante pensare che il problema siano i piloti se da una portaerei molti velivoli non decollano e cadono in mare. 

Si tratta di una similitudine concernente il divieto dei telefonini nelle scuole; s’interviene su un sintomo, il disinteresse per la lezione, senza coglierne l’origine, nel silenzio dei mezzi d’informazione. Si tratta dell’ordinaria, generale nebulosità che avvolge la finalità del servizio scolastico: lo “sviluppo della persona umana”.

Questo nuovo orizzonte, che l’attuale assetto normativo ha disegnato, modifica sostanzialmente l’ambiente scolastico: il sapere depositato nei libri di testo è diventato lo “strumento e l’occasione” della progettazione didattica. I docenti sono chiamati a ideare materiali che promuovano le qualità intellettive e operative dei giovani, coinvolgendoli e, al contempo, trasmettano una corretta immagine della disciplina di loro pertinenza.

Il cuore del problema è stato individuato: la ridefinizione della funzione docente. L’attività progettuale, infatti, trasferisce gli insegnanti dalle certezze veicolate dai libri di testo, all’indeterminatezza del campo sperimentale. Essi devono specificare la finalità del lavoro, modularla in obiettivi, ipotizzare e gestire percorsi, capitalizzare gli scostamenti tra attese e risultati. Una scheda di programmazione del lavoro dei docenti è visibile in rete: “Laboratorio di matematica: Pitagora”.

Focalizziamo ora il problema del coinvolgimento degli studenti. “La conoscenza è cosa morta” ammoniva A. Einstein. Questa, infatti, è l’esito inerte dell’attività degli specialisti. Per insufflarle lo spirito vitale bisogna associarla ai problemi di cui sono la soluzione e ai metodi utilizzati per la sua scoperta. Molte sono le possibili soluzioni; tra queste si richiamano le simulazioni: agli studenti, che lavorano in gruppo, è richiesto di trovare il cammino risolutivo delle situazioni loro sottoposte. In rete: “Laboratorio di matematica: Archimede” mostra come l’informatica faciliti tale approccio. 

Quanto è stato tratteggiato indica la via che le scuole devono intraprendere per abbandonare il modello trasmissivo, tipico delle università, per conquistare una propria, autonoma e matura fisionomia. Un cammino che il legislatore ha disposto col DL 1/2020, quando ha diversificato l’attività accademica da quella dell’istruzione: una ristrutturazione dimenticata. Lo dimostra la mancata correzione degli errori che infarciscono il paragrafo 7 della legge 107/2015, la cosiddetta buona scuola, che la “definizione degli obiettivi formativi” esige.

Riprovevole e incomprensibile il fatto che le esperienze dei docenti, che operano individualmente nella direzione indicata, non siano generalizzate e valorizzate. Si consideri il campo letterario in cui, da tempo, gli studenti “sono abituati ad un’analisi strutturale e scientifica del testo: partendo da uno scritto arrivano a comprendere gli elementi tipici di un autore, il suo pensiero, per giungere all’interazione tra il suo sentire e quello degli altri artisti, non solo scrittori, che vivono nello stesso secolo, nel periodo storico in cui vengono concepite le loro opere”.

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