The Adam Project è il nuovo Ritorno al Futuro?

C’è un momento, a un certo punto in The Adam Project, in cui non possiamo fare a meno di venire abbagliati da una scritta di un motel: Pine Ridge. Ricorda qualcosa? Se riavvolgete il nastro in Ritorno al Futuro, noterete una scena chiave, quella quando Marty negli anni ‘50 abbatte uno dei pini che hanno dato il nome al centro commerciale “Twin Pines Mall“, che dopo il suo gesto diventerà “Lone Pine Mall” quando torna negli anni ’80, dimostrando (tragicomicamente) la legge più importante dei film di Robert Zemeckis, ovvero “ogni azione che farai in passato, si ripercuoterà nel tuo futuro”.

Potrebbe essere un easter egg di Ritorno al Futuro e, forse, l’elemento che più unisce i due titoli, fatta eccezione ovviamente per il tema principale. A parte questa simpatica “coincidenza”, abbiamo un’altra incisiva somiglianza tra le pellicole: anche stavolta troviamo due protagonisti, uno più giovane dell’altro, una coppia ben costruita e che cattura l’attenzione quella costituita dallo spassoso Ryan Reynolds e dall’esordiente Walker Scobell. Proprio come Christopher Lloyd e Michael J Fox, i due stringono un rapporto di complicità, più fraterno che paterno, permettendo di ampliare le sfumature della loro relazione: l’uno serve all’altro per il proprio percorso di crescita, non è scontato che il personaggio più grande sia anche il più maturo e che quello più giovane sia più inconcludente; sono complementari ed entrambe le coppie imparano a vicenda qualche lezione di vita (nel passato e nel futuro). Inoltre, anche il giovane Adam deve fare i conti col bullismo: a quanto pare, a distanza di più di trent’anni tra i due film, sembra che non sia cambiato niente e che sia più facile trovare il modo per viaggiare nel tempo che una cura contro questa piaga delle scuole di tutto il mondo.

Il più grande punto di forza di The Adam Project è anche l’elemento che più differenzia le due pellicole: lo spazio dedicato all’emotività. Ritorno al Futuro è una corsa in tre puntate avanti e indietro negli anni, non è di certo priva di sentimenti e momenti toccanti, ma il suo cuore, il suo “flusso canalizzatore“, è fatto di avventura, di esplorazione fantascientifica, di rock’n roll, Old WIld West e puro spirito americano tipico dell’epoca raggiante raeganiana.

Il film di Levy è andato oltre, rinunciando da una parte all’esplorazione del futuro, delle tecnologie, del lato “sci-fi” dell’opera, per affrontare temi più reali, quali il lutto e il rapporto coi genitori, senza rinunciare a una buona dose di azione, altro elemento molto accentuato in The Adam Project. Eppure, nonostante questa caratteristica potenzialmente vincente, il lungometraggio con Reynolds non sembra il vero erede di Ritorno al Futuro: forse è proprio il tempo che è mancato a The Adam Project per far risultare più vincenti gli elementi che lo differenziano (nonostante sia un progetto iniziato dieci anni fa e a cui avrebbe dovuto farne parte all’inizio anche Tom Cruise).

Tutti gli intrecci dei personaggi, le loro vite e le loro relative caratterizzazioni, non riescono a emergere in 106 minuti e l’impressione che si ha è di aver visto una pellicola di formazione, anche un po’ toccante, con in fondo un background sci-fi, e non di aver visto al contrario un grande film fantascientifico, così motivante nonostante tutte le imprecisioni, da farci desiderare un paio di Nike con lacci automatici. The Adam Project, in poche parole, ci insegna una lezione importante, che l’unica strada da prendere per il futuro è riconciliarsi con il passato. Ma Ritorno al Futuro ha tutta un’altra morale: “dove stiamo andando, non abbiamo bisogno di strade!”

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