Antonio, Fabrizio e Gerolamo: storie parallele di malattia e resilienza

Da sinistra: Antonella Delle Fave, Antonio Fantin e Gerolamo Fontana (Monk Media)

Quando chiedi ad Antonio Fantin, 21 anni, colpito da una malformazione artero-venosa (MAV), qual è il giorno più felice della sua vita, lui risponde spiazzandoti: «Ogni giorno: potrei dire oggi, come domani, come ieri. Potrei menzionare il 1 settembre 2021 e l’oro di Tokyo 2020 dal punto di vista sportivo; potrei ricordare la mia data di nascita (3 agosto 2001) o il giorno in cui ho conosciuto la MAV (11 febbraio 2005); e potrei continuare, ma credo fermamente che stia a noi rendere speciale e memorabile ogni singolo giorno, ogni singolo attimo».

Gerolamo Fontana ha speso 55 dei suoi 72 anni a fare volontariato. Fin da giovane, nel suo paese, Monte Marenzo in provincia di Lecco. Ma anche da operaio in fabbrica e poi impegnandosi nelle campagne di raccolta fondi per Telethon della sezione Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare) di Lecco, di cui è presidente. Suo figlio Fabrizio, 37 anni, ha la distrofia muscolare di Duchenne. «In Italia nasce un bambino con Duchenne ogni 5 giorni: io mi sto battendo per questo bambino. Lui ce la deve fare ad avere un futuro migliore e, con i progressi della ricerca, ce la farà. Penso che donare e battersi per salvare un bambino sia la cosa più bella del mondo. Finché potrò, andrò avanti», ti spiega con semplicità e determinazione. La sezione Uildm di Lecco è la più «dinamica» in Italia e finora ha raccolto 4,7 milioni di euro per Telethon.

Accettazione

Storie parallele di malattia. Antonio è diventato campione mondiale paralimpico di nuoto. Fabrizio, con i suoi 37 anni, è la prova che si possono superare i pronostici più foschi di una malattia ancora incurabile. E Gerolamo non avrebbe avuto l’occasione di spiegare a 80mila studenti (tanti ne ha incontrati nelle scuole finora) che cosa sia la distrofia di Duchenne e, aggiunge, «insegnare questo: bisogna accettare la malattia. Se la accetti, la prospettiva cambia completamente e la malattia diventa meno pesante. Non è semplice, però è la cosa fondamentale».

Il progetto e il blog Malattia come Opportunità

Ma anche storie di resilienza, quelle raccontate sul palco del Tempo della Salute: una qualità che si può anche costruire o rafforzare, come spiega la professoressa Antonella Delle Fave, ordinario di Psicologia all’ Università degli Studi di Milano. Insieme a Giuseppe Masera (medico-pediatra, già direttore della Clinica Pediatrica all’Università Milano-Bicocca, ospedale San Gerardo di Monza) , Alberto Scanni (oncologo, già direttore generale dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano) e al Corriere della Sera, la professoressa Delle Fave ha promosso il progetto «Malattia come Opportunità» che Corriere Salute ha lanciato il 16 maggio 2018 e sotto la cui egida Antonio Fantin e Fabrizio Riva hanno voluto portare la loro testimonianza sul palco del Tempo della Salute 2022.

Raccontarsi e concentrarsi sul risvolto positivo della patologia

Come quella delle oltre 150 persone che hanno aderito al progetto: una comunità di coraggiosi che ha accettato la doppia sfida di raccontarsi sul blog «Malattia come Opportunità», andando oltre la già di per sé terapeutica scelta di scrivere. Sì, perché il progetto chiede loro di non limitarsi a mettere nero su bianco il racconto della tempesta che ha sconvolto la loro vita. Vengono invitati a fare uno sforzo in più: pensare al risvolto positivo e non solo alla parte oscura della situazione, concentrarsi sul cambiamento avvenuto perché la malattia cambia e niente nella sua vita è più come prima. Non è un’operazione facile per nessuno, ovviamente. Ma dare voce alle persone malate o ex malate, familiari, amici potrebbe contribuire a un cambiamento di atteggiamento di fronte alle malattie gravi. Per questo il progetto vuole valorizzare le parole dei lettori: perché per primi diventino testimoni di un cambiamento possibile.

Cambiamento

Un cambiamento ben evidenziato da Fantin e Riva. La Mav ha fatto visita ad Antonio quando aveva poco più di tre anni. Il campanello d’allarme, un dolore improvviso al piede e la perdita di forza e controllo agli arti inferiori. Poi la visita all’ospedale di Udine, dove la risonanza magnetica rivela la presenza di una malformazione artero-venosa in una posizione assai poco abituale. Dopo l’angiografia si decide per l’intervento, difficile, che riesce: «Sono nato per la seconda volta», annota Antonio nella biografia («Punto. A capo»; Piemme editore) che ha scritto durante la pandemia. Perché il nuoto? « Perché volevamo che tornassi a camminare dopo aver conosciuto la Mav. Così, tornato dall’ospedale, giorno dopo giorno abbiamo cercato di convincere quel bambino che ero io a tuffarsi in acqua per la riabilitazione».

Percorso di crescita

Da quel giorno, bracciata dopo bracciata, Antonio ha costruito un percorso di crescita fisica e psicologica che lo ha portato fino al podio olimpico. «Senza il lavoro e la costanza di quel bambino, non sarei l’Antonio di oggi», racconta. Ma soprattutto senza l’aiuto di una famiglia straordinaria (mamma Sandra e papà Marco, 53 e 50 anni rispettivamente, ormai a tutti gli effetti suoi cronometristi di fiducia a bordo vasca, e la sorella Anna di 19), degli amici e della comunità di Bibione (il suo paese d’origine) sempre presenti, che il campione di nuoto non smette mai di ringraziare. Che cosa ha insegnato a lui la malattia di positivo? «Ad andare a capo. Spesso ci concentriamo sul punto (la malattia o la difficoltà) e non sul reagire (ciò che invece realmente conta)».

Punti di riferimento

Famiglia (papà Gerolamo, una sorella, Debora di 46 anni, e la mamma, Marilena Bolis, che però è morta stroncata da un infarto a 44 anni), amici e comunità (di Monte Marenzo) sono anche i tre punti di riferimento di Fabrizio Fontana. La distrofia si è manifestata in lui quando aveva tre anni. Prima ha iniziato a zoppicare e poi è finito in carrozzina, ma non ha mai smesso di lottare come un leone. Testimonial di numerose campagne Telethon, socio Uildm, Fabrizio lavora all’Ats di Lecco dove cura la rassegna stampa e da 13 anni è nell’ufficio Relazioni con il pubblico.

Oggi deve usare il respiratore 24 ore su 24 e riesce a muovere solo le falangi della mano destra . Quando la mamma è mancata, ha detto a Gerolamo: «Papà tu sei debole, io per aiutarti non voglio piangere». E davanti a lui non l’ha mai fatto, dice Gerry. «Se fosse stato uno che si dispera, sarebbe stato peggio: ha una forza interiore incredibile», racconta con orgoglio Gerolamo.

Sperimentazioni

Quando si è trattato di offrirsi come «cavia» per le sperimentazioni di terapie sulla Duchenne, Fabrizio è sempre stato in prima fila: negli anni ’90, per una terapia cellulare che poi però non ha avuto seguito. Più avanti, con il tentativo di renderlo in grado di scrivere le parole con il pensiero digitandole su un pc attraverso un’interfaccia collegata ad un caschetto pieno di elettrodi. Ma Fabrizio non è mai andato oltre la lettera “B” e il progetto non è stato più finanziato. Adesso, con il progetto sperimentale di un esoscheletro montato dietro la sedia a rotelle, comandato con la voce o con un joystick, insieme al Politecnico di Milano.

Esoscheletro

«Lo scopo del progetto è stato lo sviluppo e la validazione dell’efficacia di un esoscheletro attivo per persone con distrofia muscolare. L’esoscheletro ha 4 motori che supportano attivamente il movimento di chi lo indossa. L’utilizzatore lo comanda nello spazio tridimensionale tramite un joystick (posto in corrispondenza della mano del braccio senza esoscheletro) oppure un comando vocale con parole chiave. Si monta direttamente sulla carrozzina, spiega Valeria Longatelli del NearLab – NeuroEngineering And Medical Robotics Laboratory e We_Cobot – Wearable and Collaborative Robotics Laboratory Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria Politecnico di Milano. «Siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti. È stato provato su 14 persone e tutte si sono dimostrate soddisfatte di come il robot migliorava la loro capacità di svolgere azioni di vita quotidiana. Le scale cliniche raccolte dal personale medico hanno confermato il funzionamento dell’esoscheletro. Per quanto riguarda i finanziamenti, i progetti del nostro gruppo sulle tematiche di robotica per l’assistenza e la riabilitazione dell’arto superiore sono stati finanziati principalmente da Telethon, Fondazione Cariplo, Univerlecco e Regione Lombardia. Nel nostro percorso sono stati senza dubbio fondamentali la presenza e l’energia di Gerry, Fabrizio, tutti i pazienti e i clinici che hanno lavorato con noi».

«Se riusciremo a completarlo, Fabrizio e chi soffre di Duchenne potranno bere e mangiare da soli, grattarsi, sistemarsi gli occhiali. Ora lui riesce a fare solo un movimento di 4 millimetri, che gli permetti di guidare la carrozzina e usare il mouse», aggiunge Gerolamo. La malattia è stata un’opportunità per loro? «È bello poter dire che da un’esperienza negativa, ne è nata una molto positiva», risponde Gerolamo.

13 novembre 2022 (modifica il 13 novembre 2022 | 15:52)

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, 2022-11-13 14:52:00, Il campione di nuoto paralimpico, Antonio Fantin, colpito da Mav, e Gerolamo Fontana, papà di un ragazzo con distrofia muscolare di Duchenne: «Così le nostre vicende di salute si sono trasformate in una opportunità», Ruggiero Corcella

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