Per Trump è davvero iniziata la fine?

Su Trump, dopo il risultato delle elezioni di midterm, arrivano giudizi durissimi dai repubblicani. Abbandonato anche da Murdoch, l’ex presidente tenterà ancora la corsa alla Casa Bianca nel 2024. Ma ha speranze di vittoria?

NEW YORK — Il più rapido e nitido, uscito allo scoperto quando ancora non si sapeva della riconquista del Senato da parte dei democratici, è stato l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, a lungo, in passato, alleato di Donald Trump: «Con lui abbiamo perso le midterm del 2018. Abbiamo perso le elezioni del 2020. Abbiamo perso nel 2021 le suppletive in Georgia e in questo 2022 subiamo un’emorragia di governatori, non otteniamo alla Camera i seggi che pensavamo di conquistare e non vinceremo nemmeno al Senato nonostante i democratici abbiano un presidente che ha appena un 41% di indice di gradimento. C’è solo una persona da biasimare per tutto ciò: il nostro ex presidente». In un Paese normale l’evidenza della matematica elettorale non lascerebbe scampo. Sull’onda dei giudizi dei suoi compagni di partito — durissimi quelli del vecchio establishment repubblicano, freddi anche quelli di chi si è sempre dichiarato suo alleato — e abbandonato dai giornali e dalla tv di Rupert Murdoch, fin qui il suo grande megafono, Trump dovrebbe capire che il suo tempo è passato.

Non sarà così: seguendo la sua indole, con ogni probabilità domani Trump lancerà la sua candidatura per le presidenziali 2024. Pensa che il popolo, minoritario ma ancora sterminato dei suoi scatenati fan, lo seguirà ovunque. E, se il 6 gennaio del 2021 non è riuscito con l’assalto al Congresso a bloccare la ratifica dell’elezione di Joe Biden, stavolta riuscirà almeno a garantirgli, alle primarie, i voti necessari per la nomination repubblicana.

Anche al netto delle illazioni sulle elezioni truccate, fin qui tenute abbastanza sullo sfondo, le prime mosse di Trump indicano che l’ex presidente è convinto di poter contare ancora sull’efficacia delle armi che ha usato per conquistare il potere: incutere paura, trattare i media e i politici conservatori che gli attribuiscono la responsabilità della sconfitta come opportunisti che cercano di approfittare della sua momentanea debolezza, scaricare le colpe su altri (il capo dei senatori repubblicani Mitch McConnell) con argomenti palesemente falsi e, soprattutto, distruggere col sarcasmo e le calunnie chi osa sfidarlo.

In questi giorni Trump ha provato a liquidare le critiche della stampa conservatrice sostenendo che «le testate di Murdoch mi attaccavano anche nel 2015 e nel 2016. Poi, dopo la mia elezione, sono diventate mie grandi sostenitrici». Ha messo McConnell nel mirino accusandolo di non aver appoggiato Blake Masters in Arizona (ma è stato il miliardario Peter Thiel, che l’aveva sponsorizzato, a smettere di finanziarlo e, comunque, è solo una delle tante sconfitte dei trumpiani). Soprattutto, se in passato un Trump in ascesa riusciva a demolire con qualche battuta e alcune insinuazioni avversari come Ted Cruz, Marco Rubio e Jeb Bush, stavolta potrebbe non farcela con DeSantis per due motivi: i fan di Trump apprezzano anche il governatore della Florida e non vogliono che finisca nel tritacarne di The Donald. In secondo luogo la sensazione che l’ex presidente abbia perso il suo tocco magico è ormai diffusa: anche un fedelissimo come il senatore dell’Iowa Chuck Grassley ha sbottato («Basta parlare del 2020»), mentre Herschel Walker, l’ex star del football che Trump ha imposto in Georgia contro il parere del partito e che andrà il 6 dicembre al ballottaggio per il Senato col democratico Warnock, pare voglia ai suoi prossimi comizi DeSantis e non l’ex presidente.

Se non lo avesse attaccato con durezza prima e dopo il voto, The Donald avrebbe potuto addirittura incoronare il governatore della Florida come suo successore naturale: in fondo col loro voto gli elettori repubblicani hanno detto che non vogliono più un Trump patologicamente narcisista, che continua a guardare al passato anziché al futuro e sceglie candidati impresentabili solo per compiere le sue vendette personali. Ma hanno anche dimostrato di apprezzare le politiche duramente conservatrici, — dall’immigrazione alla scuola, dalla lotta al crimine alle guerre culturali — seguite (a volte più a parole che nei fatti) dall’ex presidente nei suoi anni alla Casa Bianca. In quel periodo il governatore della Florida si affacciò sul palcoscenico della politica e fu a lungo considerato il suo delfino.

Fino a quando la possibilità che DeSantis divenisse il suo successore, il miglior interprete del «trumpismo senza Trump», non fece infuriare il monarca detronizzato. La sua rabbia nei giorni del dopo voto è solo cresciuta. Il delinearsi di una sua disastrosa sconfitta personale — quasi tutti i candidati imposti in collegi alla portata dalla destra sono stati sconfitti — è un macigno. E i suoi fan dovranno riflettere sulla «sponsorizzazione» che Trump ha appena ricevuto dal leader della sinistra radicale, Bernie Sanders: «Da americano l’dea che si ricandidi mi fa orrore, ma da politico interessato a evitare che venga eletto un altro presidente repubblicano penso sia una buona cosa».

14 novembre 2022 (modifica il 14 novembre 2022 | 07:19)

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, 2022-11-14 07:28:00, Su Trump, dopo il risultato delle elezioni di midterm, arrivano giudizi durissimi dai repubblicani. Abbandonato anche da Murdoch, l’ex presidente tenterà ancora la corsa alla Casa Bianca nel 2024. Ma ha speranze di vittoria? , Massimo Gaggi

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