di Alessandra Muglia
Kateryna Prokopenko e le compagne di tre uomini intrappolati nei cunicoli accompagnate in Italia dal dissidente Pyotr Verzilov: «Siamo orgogliose dei nostri mariti. Ci raccontano storie di resistenza quotidiana: anche bere una goccia d’acqua pulita è un miracolo»
«Siamo venute a Roma per raccontare alla gente la verità su Mariupol, i nostri mariti stanno ancora resistendo nell’acciaieria ma il tempo stringe».
Parla con un filo di voce Kateryna Prokopenko, moglie di Denis Prokopenko, l’uomo che sta guidando la resistenza di Mariupol contro l’assedio russo, il super comandante del reggimento Azov per anni in prima linea contro i filorussi nel Donbass, da Putin additato come rappresentante di quelle forze «neo-naziste» da cui l’Ucraina deve essere «liberata» e da Zelensky decorato poche settimane fa come «eroe» del Paese.
«Sono orgogliosa di mio marito, per districarsi dalla propaganda occorre guardare ai fatti: Denis e i suoi uomini stanno difendendo tutti noi» scandisce questa illustratrice e disegnatrice di fumetti che ha messo via (per il momento) matita e carta per andare in giro a raccontare la sua verità.
Con lei, a Roma sono arrivate altre tre compagne di combattenti intrappolati nell’acciaieria, ormai da settimane accerchiati senza possibilità di ricevere rinforzi, bombardati dal cielo e dal mare: Yulya Fedosiuk, capelli lunghi neri e giacca, è una ex addetta stampa e assistente di un giovane parlamentare del partito di Zelensky, che non vede il marito, Arseniy Fedosiuk, dall’inizio della guerra, ormai da oltre due mesi. «Ma lo sento, ho saputo che dieci giorni fa è riuscito a raggiungere il resto del reggimento trincerato nell’acciaieria nuotando da una sponda all’altra del fiume». C’è Anya Naumenko, 25 anni, di Kharkiv, manager di un’azienda che produce attrezzature industriali, che sta con Dmytro Danilov dal 2014: «Avremmo dovuto sposarci il prossimo maggio, chissà», sospira. «Lo sento ogni due giorni, di solito gli racconto del nostro cane e di altre amenità così da fargli pensare che esiste ancora una vita al di là della guerra».
Ad accompagnarle in questo viaggio in Italia è Pyotr Verzilov, il dissidente russo fondatore delle Pussy Riots ed editore di Mediazone, sito indipendente di notizie, «l’unico in Russia assieme a Meduza ad aver raccontato la guerra in Ucraina», precisa. «Da quando in Russia siamo stati bloccati, i nostri lettori sono aumentati: aggirano il blocco usando vpn e social». Verzilov ha vissuto lo stesso incubo di Alexei Navalny, ma due anni prima: hanno tentato di avvelenarlo e si è ripreso dopo essere stato trasferito dalla Russia a Berlino, nell’ospedale Charité, lo stesso dove sarebbe stato curato poi nel 2020 il principale oppositore russo.
Poche settimane prima dell’attacco con il veleno, Verzilov aveva osato interrompere la finale dei Mondiali di calcio sotto gli occhi esterrefatti di Putin: vestito da poliziotto, entrò con le sue Pussy Riot nel campo dello stadio di Mosca per protestare contro le persecuzioni politiche e chiedere il rilascio dei prigionieri. «Manco dalla Russia dall’ottobre del 2020, ma è dall’anno scorso, quando ho capito che la situazione interna diventava sempre più opprimente, che ho deciso di non rientrare più: dopo che Navalny è stato arrestato, dopo le proteste e la dura repressione che ne è seguita, mi sono convinto che sarei stato più utile fuori di prigione, quindi fuori dalla Russia. Sono stato prima in Georgia, poi negli Stati Uniti e in alcuni Paesi dell’Africa occidentale. Infine, in Ucraina».
A Kiev e dintorni Verzilov è andato subito dopo lo scoppio della guerra per fare un film sul conflitto con l’amico Beau Willimon, il creatore della versione americana della serie «House of cards»: «Lo scorsa settimana abbiamo incontrato Zelensky e parlato con lui anche di amore, perché il nostro documentario vuole indagare anche su come le relazioni restino vive, muoiano o nascano in tempi di guerra», anticipa Verzilov al Corriere. Tra le protagoniste del film anche le quattro donne dei combattenti di Azov.
A proposito di amore, com’è nato il suo, Kateryna, per il comandante Prokopenko?
«Ho conosciuto Denis nel 2015 sui social media, io ero nella mia città, Kiev, lui combatteva nel Donbass. Tutti e due siamo appassionati di musica e trekking, ci siamo piaciuti subito. Abbiamo iniziato a fare delle camminate insieme. Fino alla vacanza “decisiva”: nel 2018, un giro tra le cascate norvegesi. Una mattina al mio risveglio Denis mi indicò il pacchetto che aveva portato per me nella notte uno dei troll tipici del posto: dentro c’era un anello con incisa una montagna. Ci sposammo l’anno successivo a Kiev, dove è nato pure lui».
Kateryna, che tipo è suo marito?
«È una miscela unica di coraggio, integrità morale, disciplina. Sempre pronto ad aiutare, non si tira mai indietro».
Eppure è un personaggio controverso, accusato di essere alla guida di un reggimento di estrema destra, neo nazista.
«Si tratta di propaganda. Se difendere il proprio Paese da aggressioni esterne significa essere nazionalisti, allora Denis sì, è un nazionalista: come puoi dirti ucraino se non sei disposto a salvare il tuo Paese fino alla morte? Ma nazista no. Nel reggimento ci sono anche ebrei, azeri, tartari di Crimea. Nazista è l’espansionismo russo di Putin».
Che cosa ne dice, Yulya Fedosiuk?
«Batterti per il tuo Paese sembra un valore astratto ma è qualcosa di concreto: vuole dire difendere la gente, donne e bambini dai crimini degli aggressori. I soldati ci stanno proteggendo».
Cos’è nazione per voi?
Yulya: «Sono persone unite da valori condivisi: nel nostro caso, la democrazia e la dignità umana. Non dalla lingua. Le faccio un esempio: quando un ucraino assiste a un abuso da parte della polizia noi reagiamo, abbiamo una cultura della resistenza. Siamo pronti a morire per non finire prigionieri. Si è visto con le proteste di piazza a Maidan nel 2013 e poi nel 2014. Il movimento di dissenso russo è ancora in una forma embrionale, non a caso l’Ucraina è una democrazia e la Russia un regime oppressivo».
Andrianova: «Mio marito mi ha raccontato che il suo migliore amico è stato ucciso lo scorso 25 marzo ma che sono riusciti a salvare il corpo, a conservarlo. In caso di negoziato, i combattenti di Azov non saranno disponibili a lasciare la città se i corpi dei loro cari non saranno portati alle famiglie. Ai russi importa poco invece di seppellire i loro morti, basta vedere che fine hanno fatto molti dei loro soldati caduti. A Mariupol ci sono persone che sono rimaste uccise mentre cercavano di seppellire i corpi dei loro cari».
Il 21 aprile Putin ha ordinato di sospendere il previsto assalto finale all’acciaieria: sollevate per questo?
Yulia: «Non basta, i russi stanno continuando a sganciare centinaia di bombe sull’acciaieria ogni giorno, ogni giorno ci sono vittime. Al momento i civili sopravvissuti sono un migliaio nell’acciaieria, ma ogni giorno muore qualcuno dei 600 feriti, per mancanza di cure».
Hanna: «Mio marito è stato ferito la scorsa settimana, quando ci siamo sentiti al telefono non voleva dirmelo per non farmi impensierire».
In che condizioni sono i vostri mariti?
Hanya: «Pesano almeno 10 chili meno di prima. Mangiano una volta al giorno. Fanno i turni per cucinare: di solito preparano zuppe di patate e pane, mescolando acqua con pane raffermo. Il loro umore dipende dal momento: l’altro giorno Dmytro mi ha raccontato affranto della morte di suoi due cari amici. In un’altra telefonata due giorni fa era sollevato perché finalmente era riuscito a lavarsi i capelli, non faceva una doccia dal 23 febbraio! Ha esultato anche quando l’altro giorno è riuscito a uscire dall’acciaieria per prendere dell’acqua fresca. Là sotto bevono “acqua tecnica”, quella che era destinata al funzionamento dei macchinari».
C’è ancora posto per la diplomazia?
Katerina: «Come ci si può sedere al tavolo a negoziare una proposta di pace per noi umiliante, dopo i massacri di civili subiti?».
Potreste perdere i vostri uomini…
Katerina: «Se succederà non sarà per niente, si saranno sacrificati per il loro Paese».
Perché siete venute a Roma?
Yulia: «Vogliamo raccontare la verità su Mariupol, in Italia circola molta propaganda. Anche ieri passeggiando per Roma abbiamo visto un manifesto contro il reggimento Azov. Ci sono ancora alcuni politici che hanno legami con la Russia e si fanno portavoce degli interessi di Mosca, anche un gruppo di intellettuali hanno scritto una lettera in cui ci invitano ad arrenderci per porre fine alla guerra senza dire che è stata la Russia ad iniziarla…».
28 aprile 2022 (modifica il 28 aprile 2022 | 17:57)
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, 2022-04-28 18:28:00, Kateryna Prokopenko e le compagne di tre uomini intrappolati nei cunicoli accompagnate in Italia dal dissidente Pyotr Verzilov: «Siamo orgogliose dei nostri mariti. Ci raccontano storie di resistenza quotidiana: anche bere una goccia d’acqua pulita è un miracolo», Alessandra Muglia