di Andrea Nicastro
I soldati in fuga dai talebani e rifugiati in Iran colgono l’opportunità. Sono già partiti in duemila. La paga 1.500 dollari al mese
DAL NOSTRO INVIATO
KRYVYI RIH – «Generale come sta?». È prima mattina e la chiamata WhatsApp video con Teheran funziona a meraviglia. L’uomo gira il cellulare e mostra la carriola che ha appena caricato con la pala. «Sono fortunato perché ho un permesso di lavoro, do da mangiare alla famiglia e non mi faccio espellere verso l’Afghanistan. Con quello che ho fatto per sconfiggere i talebani, non uscirei vivo da un loro arresto».
La riconquista di Kabul da parte degli «studenti del Corano» ha creato decine di migliaia di soldati in fuga. Sono militari, ex mujaheddin, ufficiali dello sconfitto «nuovo Afghanistan filooccidentale». Militari addestrati a spese soprattutto di Washington e poi lasciati senza aviazione davanti all’avanzata talebana. Per vent’anni hanno combattuto «gli insorti barbuti» e dal 15 agosto 2021 sono scappati all’estero o si sono nascosti nello stesso Afghanistan per evitare la vendetta dei loro nemici. Alcuni si sono uniti in Tagikistan alla resistenza del figlio del comandante Massud. Altri, pochi, sono stati evacuati in Occidente. In Italia ne sono arrivati un centinaio. I 65 della prima ondata hanno in gran parte ottenuto asilo politico e possono quindi sperare di costruirsi un futuro da noi. Chi non ce l’ha fatta sino all’Europa o agli Usa, ma si è rifugiato nei Paesi ex sovietici o in Iran è a rischio di espulsione. Come il generale-muratore. E, allora, ecco l’idea del Cremlino: saldare la sconfitta dell’Unione sovietica in Afghanistan nel 1989 a quella americana del 2021 per cercare di vincere almeno l’invasione dell’Ucraina del 2022.
«Dall’Iran — dice l’ex generale — calcolo siano già partiti per combattere in Ucraina nei ranghi russi almeno 2mila ex soldati afghani. Non hanno scelta. Morire per mano dei talebani o in battaglia per le armi dei nostri ex alleati americani è la stessa cosa. Meglio provare a combattere».
Il modulo che circola sui social è in persiano. Il titolo: Domanda di arruolamento per volontari dell’esercito libero di Russia. Nome, nome del padre, del nonno, del villaggio (tra i burocrati di Mosca c’è una grande esperienza delle complessità anagrafiche afghane). «I volontari che saranno ammessi nel programma dell’esercito libero di Russia — si legge — riceveranno 1500 dollari di salario mensile e dopo 6 mesi di attività di addestramento e di battaglia otterranno il passaporto della Federazione russa».
Sono soldati professionisti, esperti. L’offerta di 1500 dollari senza pensione, assistenza sanitaria, ecc. ecc. è da discount del mercenario. Ma Mosca ha capito che può approfittare della loro precarietà. Fermare la controffensiva delle truppe di Kiev sta costando decine di vite ogni giorno. Quelle dei soldati afghani abbandonati dall’Occidente sono lì, a disposizione di chi le prende per primo.
Dal suo esilio in Germania, Farid Ahmadi, ex comandante delle operazioni speciali afghane, cerca di trattenere i suoi ex soldati. «Non arruolatevi — dice ai siti in persiano — è una strada senza ritorno». Secondo il modulo, basta che gli afghani si presentino ai «rappresentanti russi in Iran» e saranno arruolati. L’asse Mosca-Teheran funziona non solo per i nuovi droni suicidi che attaccano le centrali elettriche di Kiev, ma anche per il rastrellamento della carne da cannone.
31 ottobre 2022 (modifica il 31 ottobre 2022 | 22:59)
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