«Ufficiale e gentiluomo» compie 40 anni: un film con troppi cliché, superati dalla storia

di Filippo Mazzarella

Negli USA il successo fu immediato, in Italia ci mise quale settimana a carburare. Guardandolo con l’occhio del 2022, non riesce a superare la prova del tempo

Orfano di madre morta suicida, Zack Mayo (Richard Gere) vive da adolescente con il padre Byron (Robert Loggia), sottufficiale puttaniere della Marina, in un ambiente malsano da cui tenta di affrancarsi iscrivendosi a un corso di addestramento per piloti. Mentre l’inflessibile e durissimo sergente Foley (Louis Gossett jr) lo mette a dura prova cercando in ogni modo di farne emergere le debolezze, fa amicizia con il sodale Sid (David Keith) e con lui conosce le operaie Paula (Debra Winger) e Lynette (Lisa Blount). La prima si innamora sinceramente di lui; la seconda, più spregiudicata, vorrebbe usare Sid per coronare il suo sogno di emanciparsi da una condizione di proletariato anche a costo di “incastrarlo”. Quando il corso starà per volgere al termine, Zack deciderà di interrompere la sua relazione con Paula, mentre Lynette farà credere a Sid di essere incinta per costringerlo a sposarla. Ma quando il ragazzo, dopo essersi ritirato dal corso per prendersi le sue responsabilità di padre, ne scoprirà la macchinazione, finirà per suicidarsi. E Mayo, dopo aver regolato i conti definitivamente con il terribile superiore e averne compreso gli scopi, riuscirà a diplomarsi ufficiale e andrà a riprendersi Paula per iniziare una nuova vita con lei. Anche Ufficiale e gentiluomo entra nella schiera degli splendidi (mah) quarantenni.

In Italia il successo arriva più tardi

A molti di voi i conti non torneranno, soprattutto ai twentysomething dell’epoca che istintivamente assoceranno il film di Taylor Hackford alla primavera inoltrata dell’anno di grazia 1983, quando esplose da noi (dopo aver debuttato nelle sale alla fine di gennaio) in tutta la sua potenza di «sleeper» (termine ormai decaduto che le nuove strategie di marketing globale arrembante hanno reso desueto e che connotava i titoli dal successo a «combustione lenta»). Eppure, non solo la prima americana del film ebbe luogo negli Stati Uniti il 28 luglio 1982, ma quando venne distribuito nelle sale italiane il suo incasso in patria aveva già sfondato abbondantemente il tetto dei cento milioni di dollari dell’epoca: una cifra assolutamente inimmaginabile in un’era in cui l’idea di blockbuster al cinema si giocava su altri territori e che oltre ai produttori sbalordì innanzitutto la star Richard Gere (lasciatosi sfuggire, parecchi anni dopo, di aver firmato il contratto esclusivamente per soldi). Eppure, malgrado la sua pazzesca performance al botteghino Usa, il film da noi non era affatto «frontloaded» (termine invece nuovissimo che connota nel nostro strano presente quei titoli universalmente attesi da cui la distribuzione si aspetta il massimo della performance economica nei primissimi giorni di lancio globale); e ci mise qualche settimana a carburare (grazie al «passaparola»: anche questa una pratica che alle nuove generazioni può suonare aliena) prima di restare nella top ten dei più visti per tutta l’estate 1983.

Tutti i perché di un boom che si fa aspettare

I motivi possono essere molti. Innanzitutto, lo status divistico ancora «incompleto» del suo protagonista Richard Gere, che si era messo in luce anche qui un paio d’anni prima con «American Gigolo» (1980) di Paul Schrader, film su cui era però pesato un divieto ai minori di 18 anni che aveva tagliato fuori dal «sentimento condiviso» l’intera fascia adolescenziale; poi l’assenza di altri nomi di vero richiamo in cartellone (la partner Debra Winger era praticamente una debuttante mentre il coprotagonista Louis Gossett jr, poi addirittura premiato con l’Oscar, aveva alle spalle già una quindicina di film come caratterista ma era a tutti gli effetti un perfetto sconosciuto ai più); e buon ultimo (perché malgrado la cinefilia abbia sempre cercato di dimostrarci il contrario, nella percezione di massa di un film il nome del regista -salvo rare eccezioni- non ha mai contato e non conterà mai nulla: quanti di voi sanno nominare d’acchito l’Autore” di Top Gun – Maverick?) , il regista Hackford era qui alla sua opera seconda senza che la prima (“Rock Machine / The Idolmaker”, 1980), pur fugacemente uscita anche in Italia, avesse lasciato una qualsivoglia traccia.

Tutti i perché di un boom che alla fine arriva

A «funzionare» ed emozionare epidermicamente (e ahimé innegabilmente) è l’impianto classico ed eminentemente narrativo da mélo anni Cinquanta, con tutte le derive da feuilleton del caso, ridislocato in un presente quasi a-storico e ben conscio di solleticare –ambiguamente- sia le pulsioni del pubblico maschile (con l’ascesa/riscatto del protagonista) sia le aspettative di quello femminile (per cui l’affrancamento dal proletariato passa attraverso la conquista di un principe azzurro nobile per merito e non per rango). Celebriamolo per la sua natura di memoria di un’epoca tramontata (anche a livello di fruizione); per l’alchimia innegabile del doppio rapporto del protagonista Gere (ineffabile e “perfetto”) con Debra Winger e con Louis Gossett (quasi un prodromo del terribile Hartman di «Full Metal Jacket» di Kubrick), per la nostalgia con cui è lecito accogliere il ricordo della canzone (premiata con l’Oscar) «Up Where We Belong» interpretata in duetto da Jennifer Warnes e Joe Cocker.

Un classico?

Sono tanti i motivi per cui «Ufficiale e gentiluomo» non dovrebbe affatto essere ricordato alla stregua di un classico. Citiamone alcuni: la dimensione machista per cui l’affermazione di sé passa attraverso una tenacia che rasenta l’abuso personale; l’identificazione della donna della classe operaia alla stregua di un «nemico» (condizione esplicita nel personaggio di Lynette, ma ben presente anche in quello solo apparentemente più positivo di Paula); la dinamica retorica con cui il personaggio di Zack Mayo e la sua fuga dai sentimenti passano attraverso una «purificazione» possibile solo con il passaggio alla dimensione di «leader»; l’idea che l’abilità nel combattimento (esplicitata dalla sequenza di scontro con Foley, da cui pure Zack esce «giustamente» sconfitto) rappresenti una linea di demarcazione ragazzo/uomo; l’enfatizzazione della forma fisica come caratteristica fondante del «carattere» (qui trappola «rovesciata» per lo stesso Gere, al cui status di «sex symbol» era già collegata la sospensione alla sbarra ginnica di «American Gigolo») secondo una discutibile equazione d’immedesimazione per cui (perlomeno per il pubblico maschile) raggiungere il risultato di Mayo coincide con l’essere come Richard Gere; la necessità tutta da dimostrare che la ferrea volontà di Mayo di sopportare tutte le punizioni inflittegli dal «sadico» sergente sia il viatico per la sua realizzazione di «uomo» e di membro di un gruppo d’élite; l’idea (forse discendente dalla mislettura di un altro classico sulla inconsapevole alleanza tra machismo e autodistruzione come «Da qui all’eternità», 1953, di Fred Zinnemann) per cui i personaggi femminili debbano rimanere confinati ai margini dell’azione e in ultima analisi delle decisioni degli «uomini»; la didascalica costruzione psicologica di base del personaggio di Mayo che incanala nel suo occultato ma evidente disprezzo per le donne e nella sua rabbia tutta esteriorizzata il chiarissimo senso di colpa per il suicidio della madre; e potremmo continuare per chissà quanto.

Ultime considerazioni

E, buon ultimo, il rovescio della medaglia ideologico del suo aspetto da «fiaba»: ovvero quello (surrettiziamente propagandistico, sebbene il discorso ovviamente decada al di fuori del contesto culturale americano) dell’esaltazione acritica della vita di servizio armata come possibile percorso alternativo di realizzazione, nella forma più limpida di declinazione “guerresca” dell’american dream rivolta alle classi meno agiate. E ci perdonino coloro i cui entusiasmi da “madeleine” si fossero spenti durante la lettura di queste ultime considerazioni.

28 luglio 2022 (modifica il 28 luglio 2022 | 07:09)

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, 2022-07-28 05:27:00, Negli USA il successo fu immediato, in Italia ci mise quale settimana a carburare. Guardandolo con l’occhio del 2022, non riesce a superare la prova del tempo , Filippo Mazzarella

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