Ultime notizie: Giustizia, bollette, truffe del 110%, crisi Ucraina: Draghi detta l’agenda. “Non cerco un futuro in politica”

Se non fosse che è Draghi, persona molto educata, quello di ieri potrebbe essere ricordato come il suo assai british vaffa-day. O almeno quello in cui s’è levato parecchi sassolini dalle scarpe. E ha ripreso appieno le redini di un governo che, più forte o più debole, finchè c’è Draghi procede nei tempi e nei modi decisi dai criteri di necessità per raggiungere gli obiettivi minimi di questa fase di crisi sanitaria, sociale, politica – il sistema dei partiti è imploso e le coalizioni stanno su con i cerotti – e ora anche internazionale. La sintesi di una giornata che apre certamente una fase nuova nel governo dell’ex presidente della Bce: grazie a tutti del pensiero ma io un lavoro, se mi  dovesse interessare, me lo so trovare da solo. E comunque finchè sto qua, lavoro a modo mio. Altrimenti sarete voi, partiti a spiegare agli italiani, in campagna elettorale, i motivi del fallimento. Quindi: avanti con il Csm; basta truffe col bonus al 110%; no più debito pubblico, no rimpasto di governo. “sono stato chiaro?” ha fulminato i cronisti il Presidente del consiglio alla seconda domanda che riguardava il futuro suo e del governo. Diciamo che, lo sventurato,  ha fatto l’errore di rispondere una volta alle sollecitazioni di partiti e analisti politici circa le sue intenzioni sul Quirinale. Era il 22 dicembre: si definì un “nonno al servizio delle istituzioni”  e lasciò aperta la porta per arrivare al Quirinale. Quell’errore, o ingenuità, non si ripeterà più.

Il “mezzo miracolo” del Csm

Intanto ieri Draghi ha portato a casa il voto unanime del Consiglio dei ministri sulla riforma del Csm. “UN mezzo miracolo” lo ha definito Maria Stella Gelmini, ministra per gli Affari regionali viste le differenze abusare dentro la maggioranza sui temi della giustizia, tra il giustizialismo 5 Stelle, il garantismo dei partiti di destra e del nuovo centro.     

Certo, la missione di riformare il Csm non è ancora compiuta. Serviranno due letture parlamentari dove il governo si è impegnato a non mettere la fiducia e i partiti di maggioranza a non usarla come arma di ricatto. Dunque a favorirne un iter “veloce, approfondito ed entro aprile” quando poi si dovrà iniziare a lavorare alla prossima consiliatura di palazzo dei Marescialli.   Ma quella uscita ieri dal Consiglio dei ministri è tra le riforme più rivoluzionarie degli ultimi trent’anni nel settore giustizia. Più del processo penale e di quello civile. “Risponde  – ha detto il ministro della Giustizia Marta Cartabia – all’ineludibilità rappresentata dal presidente Mattarella” una settimana fa nel suo discorso di insediamento per il bis, “ai cittadini che devono ritrovare fiducia nella magistratura e ai tanti magistrati per bene”, la maggior parte, che in questi ultimi anni hanno sofferto e subìto il discredito delle inchieste che hanno terremotato prima il Csm e poi altri uffici di magistratura. Non è una riforma punitiva per la magistratura, che però non gradirà molte sue parti.

Sicuramente cura alcune distorsioni più evidenti: il vizietto di indossare la toga, fare politica e poi indossare nuovamente la toga (seppure in distretti giudiziari diversi), di cumulare doppie indennità (giudice e nuovo incarico, politico o amministrativo che sia), ovvero quel fenomeno tutto italiano delle cosiddette “porte girevoli”. Sulle modalità di elezione dell’organo di autogoverno della magistratura (un sistema misto, maggioritario e proporzionale, senza le liste delle correnti), le modifiche sono importanti e certamente non aiutano i giochi delle correnti. Solo il testo, una volta approvato definitivamente, saprà dire fino a che punto potrà essere vulnerabile. Oltre sarebbe stato difficile fare, senza toccare la Costituzione. “Discrimina i magistrati, per cui forse servirebbe una norma di rango costituzionale, ma tutela l’ordine giudiziario. E’ una soluzione opinabile ma almeno non è ipocrita” suggerisce un magistrato prestato ormai da anni alla politica come il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. Un’analisi che rappresenta come ormai anche la magistratura ha capito che stavolta è il tempo di cambiare e per davvero.

I ringraziamenti a Garofoli

Uno dei magistrati fuori ruolo è il braccio destro di Draghi. Si chiama Roberto Garofoli e da anni ricopre il delicatissimo ruolo di capo d gabinetto di vari ministeri. Era  al Mef, con Franco, quando i 5 Stelle nella fase “abbiamo abolito la povertà” lo misero in condizioni di lasciare il ministero. Draghi ieri lo ha ringraziato più volte dopo che in questi giorni è stato preso di mira e accusato, sotto traccia, di preparare una norma ad personam. Garofoli ha deciso di non partecipare alla riunione del Cdm. E però nei giorni passati è stato decisivo per trovare l’intesa. Per questo Draghi lo ha ringraziato: per le decine di “interazioni” coi partiti, mediate da lui, e che hanno portato a quella “discussione ricchissima” che alla fine ha portato all’accordo su porte girevoli tra toghe e politica e regole per.  l’elezione del Consiglio superiore della magistratura.

Quelle degli ultimi giorni sono state riunioni abbastanza tese: i tecnici dei vari ministeri hanno lamentano di non avere modo di esaminare a fondo le 40 pagine preparate dalla ministra Marta Cartabia; Forza Italia voleva più tempo per studiare le carte; i grillini senza capo col fucile spianato nel timore di non accorgersi di qualcosa. Il Cdm è slittato un paio di volte, Forza Italia si riunisce nelle sede del partito per valutare il dà farsi. Poi alla fine sono tutti felice e contenti e rivendicano di aver cambiato in modo decisivo il testo. “Discussione molto ricca” l’ha definita Draghi. Non noiosa, semmai “lunga”. E nella scelta degli aggettivi c’ il draghismo che servirebbe alla politica italiana.

Un futuro politico? No grazie

La giornata di ieri è la risposta migliore a chi si si chiede se Draghi sia uscito più o meno rafforzato dalla battaglia per il Quirinale.  La riforma del Csm è un passaggio epocale che solo un governo forte può tentare di portare fino in fondo. La conferenza stampa, la prima dopo il campo di battaglia delle urne quirinalizie, è stata anche l’occasione per Draghi di dire chiaro e forte di escludere il rimpasto di governo e un futuro per lui in politica dopo questa esperienza. E’ stato un Draghi “puntuto” sul suo futuro. Dopo essere stato al centro del risiko che ha portato alla rielezione di Mattarella, Draghi si è chiamato fuori da ogni suo possibile futuro politico. Diversi gli scenari che vedono l’ex leader Bce impegnato “da nonno delle istituzioni”, anche dopo il 2023, quando è fissata la fine della legislatura. Molti di questi coinvolgono le forze centriste-progressiste che lo vorrebbero a palazzo Chigi anche dopo il 2023. La replica è stata secca.

A chi, ad esempio, lo chiama in causa quale possibile federatore del “grande centro” che molti vorrebbero costruire, Draghi ha risposto “in maniera totalmente chiara: lo escludo”. Però non poteva bastare questo. E allora, ci ha prestato una frazione di secondo e ha continuato. Quasi approfittando dell’occasione per dire qualcosa che ha in testa da tempo. “Tanti, anche politici, mi candidano in tanti posti in giro per il mondo, mostrando una sollecitudine straordinaria nei miei confronti. Ringrazio moltissimo tutti  ma vorrei rassicurarli – ha scandito con sguardo severo seppure mitigato da un mezzo sorriso – che se per caso decidessi di lavorare dopo questa esperienza, probabilmente un lavoro lo troverei anche da solo”. E ai cronisti che lo hanno continuato a sollecitato circa una  sua possibile candidatura nel 2023, ha detto: “Lo escludo, chiaro? Fine”.

L’errore – o l’ingenuità – di rispondere alle sollecitazioni di stampa e opinionisti lo ha già fatto una volta. E per quanto inesperto politicamente, la lezione è servita. Il resto è tutto ancora da scrivere.

Governo fermo e concentrato

Il governo, ha chiarito il premier, resta fermo e concentrato sulle “sfide importanti per gli italiani”. E’  “un dovere”. E l’intervento “prioritario” è quello contro il caro energia, per evitare che gli aumenti delle bollette di luce e gas “strozzino la ripresa”. E’ la crescita, che passa in larga parte per la realizzazione del Pnrr, il faro per l’esecutivo, perchè garantisce “stabilità” ma anche “tenuta dei conti”, debito sotto controllo e “credibilità internazionale”. L’esecutivo ha ben presente i rischi che incombono sulla ripresa, che sta rallentando un po’ in tutta Europa. Oltre al caro bollette ci sono le tensioni geopolitiche e l’inflazione, tre categorie di rischi su cui l’esecutivo “sta riflettendo” per mettere in campo “interventi”. Anche perchè inflazione, e caro-bollette e il rincaro della materia prime “stanno aggredendo il potere acquisto dei lavoratori ed erodendo, anche se per ora non si vede, la competitività delle imprese”. Certo, la cosa più facile sarebbe stata fare ancora debito e incrociare le dita sperando che i venti di guerra in Ucraina non sviluppino n peggio e che la bella stagione fare abbassare il carobollette. Ma non è questo il metodo Draghi. Con Franco sono allo studio interventi anche strutturali. 

Scontro sul superbonus 

Lo scontro, evitato sulla giustizia, rischia invece di riaccendersi sul Superbonus.  Draghi e Franco non hanno usato parole tenere nei confronti di una delle misure di bandiera dei 5 Stelle. “Quelli che ora tuonano hanno scritto la legge senza controlli” ha detto il premier, “una delle truffe più grandi della storia della Repubblica”, in pochi mesi l’Agenzia delle entrare ha riscontrato truffe per due miliardi e 300 mila, ha rincarato il ministro dell’Economia, scatenando le ire del Movimento. I 5 Stelle, alle prese con chi farà il capo, hanno chiesto al governo di venire a riferire in aula. La battaglia ora si sposterà in Parlamento, quando saranno presentati i correttivi al sostanziale stop alla cessione del credito che, secondo tutti i partiti, sta bloccando i cantieri.

Finito il faccia a faccia con i giornalisti – dopo quello con i ministri e i rispettivi partiti – Draghi è tornato in ufficio e ha iniziato una video chiamata con Bruxelles e Washington sulla crisi Ucraina.  “Se Mosca attacca, le sanzioni contro la Russia saranno gravissime” ha detto Draghi. Anche qui, non l’ha toccata piano.

Il gradimento dopo un anno di “vita” del governo Draghi è al 60 per cento. Dieci punti sopra quello che raggiunsero il Conte 1 e 2 un anno dopo il loro inizio.

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