di Marino Regini*
Il volume Quale universit dopo il Pnrr? di Regini e Ghio la prima analisi critica della missione 4 del Piano. Lo scarto tra l’ambizione degli interventi e la realt
* Professore emerito di Sociologia Economica alla Statale e presidente del gruppo di progetto Unimi 2040
Il Pnrr rappresenta una svolta radicale nel modo in cui in Italia si guardato all’universit, oltre che un tentativo di superarne i ritardi storici. Diversamente da quanto indica il suo titolo, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non si propone infatti di favorire semplicemente la ripresa e la resilienza del tessuto economico italiano, ma di cambiare il modello di sviluppo. E di cambiarlo nella direzione di quell’economia della conoscenza proposta come obiettivo dall’agenda di Lisbona del 2000, nella quale universit e ricerca svolgono un ruolo cruciale. Non si tratta di un passaggio scontato n, come spesso si sente dire, imposto dall’Europa, perch in realt le tre grandi direttrici del Next Generation EU erano la transizione ecologica, la transizione digitale e la coesione sociale, non l’istruzione e la ricerca. Ma il nuovo modello di sviluppo che queste direttrici individuano ha come precondizione alti livelli di formazione di capitale umano e di produzione di nuova conoscenza, che possono essere garantiti solo da un sistema di istruzione e ricerca che superi i ritardi e le carenze dell’universit italiana. Dunque, come mostra il volume Quale universit dopo il Pnrr a cura di Marino Regini e Rebecca Ghio, Milano University Press 2022, l’idea di universit insita nel Pnrr quella di motore di un nuovo modello di sviluppo economico, basato su prodotti a pi elevato contenuto tecnologico e su servizi a pi alto contenuto professionale. Un modello di sviluppo teorizzato a Lisbona oltre 20 anni prima, ma che in Italia era rimasto largamente inapplicato.
Per questo la Missione 4 Istruzione e Ricerca si propone di colmare quei ritardi, partendo dal riconoscimento delle criticit del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca. Quali sono le criticit su cui il Pnrr punta la propria attenzione? In primo luogo il basso tasso di laureati, a cui concorrono disuguaglianze sociali e territoriali molto pi forti che nel resto d’Europa, e in particolare di laureati nelle discipline Stem; a cui si accompagnano alti tassi di abbandono, che naturalmente contribuiscono al primo fenomeno. In secondo luogo, i laureati trovano difficolt di inserimento nel mercato del lavoro maggiori che altrove, mentre le indagini sulla domanda delle imprese mostrano una carenza di lavoro qualificato. Infine, il bassissimo tasso di dottori di ricerca sulla popolazione. Per quanto riguarda invece le criticit nella ricerca, l’ottima produttivit e impatto dei ricercatori italiani non sembra tradursi in una sufficiente competitivit e attrattivit internazionale delle nostre universit, n tanto meno in una loro capacit di funzionare come motori dell’innovazione, trasferendo i risultati della ricerca al sistema economico. Il Pnrr si propone di intervenire su queste criticit agendo sull’offerta, vale a dire sui modi in cui strutturato e funziona il sistema dell’istruzione terziaria e della ricerca.
La prima componente della Missione 4 prevede riforme e investimenti per superare alcune delle tradizionali carenze nella formazione terziaria. In particolare punta a rimuovere alcune delle cause che storicamente hanno mantenuto basso il numero di laureati e di dottori di ricerca: cio la debolezza di un canale terziario professionalizzante, l’assenza di forme efficaci di orientamento, l’insufficienza del sostegno economico offerto a chi proviene da famiglie non benestanti, una formazione dottorale non adeguata a trovare sbocchi occupazionali al di fuori dell’accademia.
La seconda componente della Missione 4 si concentra invece sulla capacit della ricerca di diventare una leva dell’innovazione economica. Alla ricerca pura dedica relativamente poche risorse, mentre prevede investimenti rilevanti per creare alcuni campioni nazionali di Ricerca e Sviluppo, ecosistemi dell’innovazione a livello territoriale, e per finanziare partenariati estesi a universit, centri di ricerca e imprese. Sono tutti strumenti questi che dovrebbero superare anche il problema della bassa capacit di circolazione delle conoscenze, le cui cause principali sono la difficolt di cooperazione fra universit e imprese e una ancora scarsa istituzionalizzazione delle attivit di terza missione degli accademici italiani.
Vi sono per due ragioni di fondo per formulare un giudizio critico sull’impatto effettivo che il Pnrr potr avere sul sistema universitario. La prima si lega al fatto che il Pnrr concentra gli interventi esclusivamente sul lato dell’offerta di formazione e ricerca, quasi si ritenesse che una maggiore offerta di capitale umano altamente qualificato e di collaborazione fra universit e imprese sia di per s sufficiente a creare anche una domanda di elevate competenze e di nuove conoscenze. Ma gli investimenti pubblici in Ricerca e Sviluppo in Italia sono molto al di sotto di quelli della media dell’Ue e meno della met che in Germania, e quelli del settore privato sono poco pi di un terzo. Il basso investimento in R&S collegato al tipo di struttura produttiva italiana, caratterizzata da imprese piccole e medie che spesso non sono propense a investire in attivit di esplorazione sulle frontiere tecnologiche, che hanno meno probabilit di disporre di risorse interne per sostenere i rischi e i costi di progetti innovativi, e che possono anche mancare della capacit di assorbire le nuove tecnologie. Inoltre, lo Stato italiano non solo spende poco, ma adotta interventi frammentari. L’idea prevalente che lo Stato deve finanziare e dettare regole ma non intervenire con una politica industriale che espliciti gli obiettivi a cui legare la possibilit dei soggetti che agiscono nel mercato di accedere alle risorse pubbliche, e che sia quindi in grado di condizionarne le strategie. Da questo punto di vista la Missione 4 con il suo obiettivo di colmare alcune carenze storiche del sistema universitario, pone quindi le condizioni necessarie ma non sufficienti affinch l’universit e la ricerca possano diventare davvero il motore per un salto di qualit nello sviluppo economico e sociale del Paese. Senza l’avvio di una politica industriale che miri a riqualificare la domanda, assai difficile che questo salto di qualit si realizzi. La seconda ragione per avanzare dubbi sull’impatto che potr avere il Pnrr si lega a una critica formulata da diversi osservatori: il non avere preso in considerazione il fatto che i soggetti chiamati a elaborare e ad attuare la mole enorme di misure previste erano largamente impreparati a farlo, perch legati a modalit d’azione tradizionali, non adeguate ai nuovi compiti. Nel caso dell’universit, la mancanza di adeguati strumenti di indirizzo strategico da parte del Ministero lascia gli atenei liberi di seguire la tradizionale logica distributiva, vanificando gli obiettivi innovativi contenuti nel Pnrr. Occorrerebbe invece un cambiamento culturale e un nuovo rapporto di fiducia reciproca, oltre che nuove competenze, in tutte le parti coinvolte.
Gli atenei dovrebbero interpretare la loro autonomia non come libert da ogni vincolo ma come un processo di elaborazione dal basso di obiettivi e strumenti specifici ma congruenti con quelli nazionali o territoriali. E il Ministero dovrebbe arricchire le competenze e le professionalit operanti al suo interno per indirizzarle non verso un semplice controllo di conformit delle azioni degli atenei con le direttive centrali, ma verso un processo dialettico di ascolto delle proposte che arrivano dalla periferia, di valutazione della loro congruenza con gli obiettivi di sistema, di negoziazione orientata non all’omogeneit degli interventi ma alla valorizzazione delle differenze. Forse il limite maggiore del Pnrr per quanto riguarda il sistema universitario sta proprio nel non avere previsto uno strumento di governo di questo genere.
25 maggio 2023 (modifica il 25 maggio 2023 | 13:09)
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