Dice tutto la copertina dell’atteso libro sulla valutazione di Cristiano Corsini, docente di Pedagogia sperimentale a Roma 3, ora disponibile in libreria (C.C., La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto, Franco Angeli, 2023). Il titolo mette l’accento sul fatto che il volume tratta della valutazione “che educa”, a fronte della quale ne esiste una che “non educa”, quella sottoposta alla “tirannia del voto” di cui parla il sottotitolo.
Ma ancora più eloquente è la vignetta che compare sulla copertina, nella quale è raffigurato un perplesso professore di mezza età che, seduto in cattedra, cerca di spiegare a tre ancora più perplessi studenti le ragioni del voto che ha loro assegnato. Il professore si aiuta con le dita mentre alle sue spalle compare una lavagna con un elenco di giudizi sintetici (da ‘scarsetto’ a ‘sufficientino’ a ‘buono e mezzo’) e di voti (‘trenta’ e ‘5,77’) che sono l’esempio di una modalità di valutazione che secondo l’autore non educa.
Corsini sviluppa e argomenta questa sua tesi nei quattro capitoli che compongono il suo libro. Il primo (Perché valutare) sostiene, in linea con una scuola di pensiero che risale in Italia ad Aldo Visalberghi e negli USA a John Dewey, che la valutazione non va intesa come un fine (nel qual caso si traduce e si esaurisce nell’assegnazione di un voto) ma come un mezzo, uno strumento regolativo della relazione didattica, finalizzata alla crescita culturale e sociale dell’alunno, che è il vero obiettivo di un’educazione democratica e partecipativa.
Il secondo capitolo (Quando la valutazione educa?) analizza le condizioni alle quali la valutazione, intesa come un complesso di riscontri descrittivi e significativi, è efficace ai fini della formazione di liberi cittadini dotati di pensiero critico e di responsabilità sociale (tempestività, chiarezza e partecipazione, coerenza, orientamento verso il futuro).
Nel terzo capitolo (Cosa e come valutare) non mancano punte polemiche nei confronti di prove, come quelle dell’Invalsi, che pretendono di valutare “competenze” (che si esplicano in situazione e in contesti dinamici) attraverso test standardizzati decontestualizzati e inidonei a rilevare le componenti riflessive, metacognitive e sociali dell’esercizio concreto di tali competenze. Un po’ meglio funzionano le prove predisposte nelle indagini internazionali Ocse (Pisa) e IEA perché a differenza dell’Invalsi operano su campioni e si avvalgono di quesiti a risposta aperta e complessa, anche se anch’esse hanno il grave limite di “trattare l’educazione alla stregua di variabile indipendente rispetto a fattori sociali ed economici” scaricando sui sistemi scolastici responsabilità di “iniquità che sono proprie del sistema sociale ed economico” (p. 85).
Nel quarto e ultimo capitolo Corsini ribadisce che al voto non va riconosciuta alcuna valenza formativa e conclude che “quel che veramente conta nella valutazione è la comunicazione di indicazioni di miglioramento” (p. 119).
Da apprezzare in questo libro, oltre alla geometrica chiarezza dell’esposizione, è la ricchezza di esempi significativi, tratti da esperienze concrete, molte delle quali vissute personalmente dall’autore nel corso della sua attività didattica come docente universitario e come formatore nel corso di numerosi incontri, di persona e online, con gli insegnanti, con i quali intrattiene anche una fitta rete di conversazioni su Facebook. Non c’è da stupirsi del fatto che i suoi studenti e molti insegnanti pendano dalle sue labbra e lo adorino come un guru infallibile. Ma se qualcuno si azzardasse a dirglielo, chiedendogli aiuto per risolvere qualche suo problema complicato, questo scanzonato e ironico professore, romano e romanista appassionato, maestro di antiretorica, risponderebbe più o meno così, nello stile del vignettista Osho: “Aò, nun esaggerà, mica so’ Mandrake”. (O.N.)
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