Valutazione: a chi danno fastidio i voti? Intervista a Cristiano Corsini

“Avanzato? Intermedio? Ma cosa significa? Non era meglio ai nostri tempi, un bell’8 e tutto era più chiaro?”. Giorni caldi questi di metà febbraio per genitori e docenti che si trovano a confrontarsi su argomenti roventi, quali le temibili schede di valutazione o, come direbbero molti, le pagelle. Intermedio, avanzato, base, in via di prima acquisizione: questa la nomenclatura dei livelli previsti per la scuola primaria. Manca però, a due anni dall’abolizione del voto, una coscienza chiara e condivisa sul significato di questi livelli. “Se mio figlio ha tutti intermedi, sarebbe come se avesse otto o nove?” ci scrive questa mattina un nostro dubbioso lettore. Il problema della valutazione alla scuola primaria è comunque complesso e variegato. Come mai la comprensione dei livelli non è chiara per le famiglie? Abbiamo chiesto il parere del pedagogista Cristiano Corsini.

Siamo nel periodo delicato della valutazione in itinere che si realizza con le famose e temute schede di valutazione. La situazione nella scuola primaria sembra però essere poco chiara, i “nuovi” livelli non sembrano essere facilmente comprensibili per molte famiglie. Secondo lei perché?

“Credo che la situazione sia molto eterogena, nel senso che ho visto esperienze di ottima comunicazione delle scelte valutative da parte delle scuole alle famiglie, che sono stato state accompagnate in questo passaggio, anche attraverso momenti specifici di formazione nei quali sono stati illustrati i livelli e le loro ricadute sugli apprendimenti. Nelle scuole dove c’è stata una buona e costante comunicazione le cose sono andate bene le famiglie hanno compreso il significato dei livelli e soprattutto quali ricadute hanno per il processo di apprendimento. Diversa è la situazione delle scuole che al di là di come hanno formulato questi livelli hanno lasciato le famiglie indietro, non spiegando il significato dell’’intermedio’ o dell’’avanzato’. Dipende dalla situazione, dall’impegno che le scuole hanno profuso nel comunicare ed accompagnare le famiglie in questo nuovo processo valutativo.”

In molte scuole c’è la tendenza a dare voti ai lavori svolti in classe o a casa. Il voto non è mai numerico, ma spesso si esprime con giudizi, quali “bene”, “benino”, “ottimo” e così via. Di fatto non è rischioso abituare bambini e famiglie a una valutazione di questo tipo per poi nelle pagelle presentare una visione completamente diversa?

“Certo, perché se l’insegnante non usa la valutazione in itinere come elemento che orienta l’apprendimento e quindi valuta una certa prestazione tra 6 e 10 o tra sufficiente ed ottimo,  è chiaro che poi sarà più difficile spiegare il significato di un certo livello e renderlo chiaro, intanto a sé stessi e poi alle famiglie, alle alunne e agli alunni È chiaro che la qualità della valutazione in itinere è correlata alla comprensibilità della valutazione finale, formativa. Questo d’altronde è un problema che c’era anche prima (con i voti), ma non emergeva.  Se un alunno prendeva tre otto e due sette non sapeva bene di cosa si stesse parlando, ma avvertiva una coerenza tra la votazione di una determinata attività e quella in itinere, mentre adesso la coerenza va argomentata e spiegata. Se non c’è una qualità educativa nella valutazione in itinere è chiaro che poi è più difficile che ci sia coerenza tra la valutazione quotidiana che gli alunni ricevono e la valutazione finale o in itinere.”

Perché secondo lei è così diffuso questo desiderio di vedere sintetizzato un processo complesso come l’apprendimento in un singolo voto?

“Il fatto di avere una valutazione che si esprime con la votazione numerica è figlia di una cultura che semplifica tutto. Ricevere un ‘intermedio’ è molto di più che ricevere un sei o un sette. Ma cosa significa il livello ‘intermedio’? Significa che in alcune situazioni l’alunno o l’alunna ha un determinato livello di autonomia, o di competenza e se la cava in un certo modo: chiaramente è una descrizione molto più ricca e completa, che fornisce un quadro più completo di come gli alunni apprendono. Noi adesso abbiamo una valutazione molto più approfondita che è tale in quanto maggiormente analitica ma anche sintetica, in fondo abbiamo solo quattro livelli, mirati ed esaustivi. Molto importante è il giudizio finale globale alla fine della scheda che fornisce un quadro più ampio e mirato del percorso realizzato, con informazioni mirate e specifiche. La comprensione di queste informazioni è collegata anche a un piccolo sforzo reciproco che potrebbero fare scuola e famiglia. Senza questo sforzo le cose non funzionano, ma prima le cose, di fatto non funzionavano ugualmente, se ora non capisco l’intermedio, prima non capivo il 7, no?”.

Come comunicare ai bambini gli esiti di questa valutazione?

“Io mi trovo bene a leggere solo il giudizio complessivo finale, ma chiaramente dipende dall’età dei bambini e da quanto si è lavorato in itinere, questo di fatto è il problema principale. Il nodo critico è quanto scuola e famiglia condividono i passaggi dove la scuola spiega le tappe del processo di apprendimento alle famiglie e ai bambini. L’errore più grande è concepire la valutazione come una tappa finale del processo di apprendimento.”

Recentemente il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini ha dichiarato: “Non capisco a chi diano fastidio i voti”. Oggi giriamo questa domanda a lei e le chiediamo: a chi danno fastidio i voti?

“Credo che a nessuno diano fastidio i voti, diciamo che sono un’occasione persa perché una volta che si ha la possibilità di usare la valutazione per migliorare l’apprendimento, con il voto la si butta via, non è questione di idiosincrasie o di demonizzare il voto. Il voto ha una sua funzione che non è quella di migliorare l’apprendimento, quello è il problema!”.

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