Viaggio a Roma con gli 007 dell’immondizia: «Ci insultano ma resistiamo»

di Goffredo Buccini

Discariche pirata tra le opere di Bernini e Borromini. «Noi puliamo, dopo un’ora tutto è come prima». I trasgressori scovati: «Questo? Non l’ho buttato io»

L’una di notte, piazza Navona. L’aquila imperiale cede il passo al gabbiano famelico, una volta per sempre. Tra mattonelle sbeccate, otto sacchi di detriti misti, un centinaio di canaline di plastica mescolate a frutta marcia, tranci di pizza, residui di cena takeaway; tavole di compensato, tronconi di seggiola, insalata assortita, perfino due targhe del Duce (una classica, meglio un giorno da leoni , l’altra rurale, onorate il pane gloria dei campi); tasti e pedali d’un pianoforte in agonia; e un albero di Natale orfano. Sì, c’è pure un abete artificiale con qualche addobbo smozzicato in questa nottata d’autunno, mollato così sui sampietrini di una delle meraviglie urbanistiche del pianeta, di fronte al civico 101, a venti passi dalla Fontana dei Quattro Fiumi del Bernini, nella discarica pirata che ci balza in faccia: non la prima, non l’ultima. Tocca farci l’abitudine, solo che qui siamo nel salotto della Roma monumentale.

«Hanno ristrutturato un appartamento e hanno buttato tutto per strada», spiega, sospirando, Salvatore Palladino, il capozona dell’Ama che ci accompagna. Ha sessant’anni e l’abitudine ce l’ha fatta, sì, ma se ne rammarica sempre un po’. A quell’ora, davanti all’ennesimo scarabocchio di pattume sulle nostre pagine di Storia, tocca arrendersi all’evidenza che il problema di Roma sono i romani. Ma anche l’Ama, la controllata municipale della maledettissima mondezza, in effetti è romana, dunque siamo di fronte a un serpente che si morde la coda e il nostro discernimento è stritolato nelle sue spire.

Frugando tra i sacchi

Sbucano dal buio due manovali, forse stranieri, e dicono «vabbé, rimettiamo tutto dentro, ma mica è roba nostra, oh». Sembra cabaret ma non fa ridere. Certo, prove non ce ne sono: di chi è la discarica? Le prove starebbero negli scontrini, qui assenti, nei pezzi di carta con nomi e indirizzi, che gli agenti accertatori Luciano e Edoardo sempre cercano occhiuti come corpi del reato. Sono loro due degli 007 della spazzatura, temutissimi perché possono multare chi non fa la differenziata, potere che manca ai comuni operai Ama: sono pochi però, gli accertatori, ventiquattro in tutta Roma; i due, forse, compaiono a nostro beneficio per la nottata, chissà. Come forse per lodevole efficientismo o forse in favore del mio taccuino e della macchina fotografica di Claudio Guaitoli accorrono al volo sul posto tre camion che in una mezzoretta caricano tutta la macedonia mordi e fuggi abbandonata in spregio al Bernini e restituiscono il marciapiede ai turisti. Sospetto: se gli interventi fossero tutti così tempestivi vedremmo ancora davanti ai nostri portoni, a rotazione nei municipi, tappeti maleolenti di sacchetti, magari col cercatore rom al posto dell’accertatore romano? Boh.

Sono tre ore che giriamo, Guaitoli e io, mimetizzati in fratino arancione con le squadre dell’Ama, saltabeccando su due Squaletti, i camion a vasca leggeri, più agili nei vicoli. Turno dalle dieci di sera alle sei del mattino. Appuntamento base alla sede del Testaccio, viale Campo Boario 58, appena dietro Piramide, una delle 400 Aet, le Aree elementari territoriali in cui è suddiviso l’universo della spazzatura nella Capitale: qui, un rettangolo di vetrate, computer di controllo dei turni, spogliatoi, 129 operai, tre responsabili, camion. Il capo degli automezzi per il Centro storico si chiama Roberto Efficace, cognome promettente. Dice infatti che loro «fanno miracoli». «Roma è sporca perché viene sporcata, l’inciviltà dei romani è il fattore più impattante». Obietto che i romani considerano la pulizia stradale e la raccolta dei rifiuti a livello di terzo mondo (senza offesa per il terzo mondo). Secondo il quindicesimo rapporto dell’Acos, l’agenzia di controllo sui servizi, da aprile sono impennate le segnalazioni di cassonetti maleodoranti, 78 mila quelle di cassonetti strapieni, 437 mila le lamentele; il voto, 4.9, abbassa la valutazione sulla qualità della vita in città che, non si capisce come, è invece risalita sopra la sufficienza (6.7). Si rimpiange Malagrotta, il buco nero di Manlio Cerroni dove fino al 2013 tutto veniva fagocitato e amen: un vero schifo certamente assai redditizio per i privati, finché il sindaco Marino non ha chiuso la discarica senza però avere un piano alternativo. Da allora, il caos. Sognando il termovalorizzatore, affossato dalla sindaca Raggi, promesso dal sindaco Gualtieri. Intanto, i gabbiani. E noi.

«Risorti» e mele marce

Ci toccano il Ghetto, Regola, Campo de Fiori, Navona, Coronari, San Gallo, una delle due fette in cui è diviso il Centro. Già al Ghetto i primi problemi. È una serata infrasettimanale, i ristoranti kosher chiudono prima e mettono troppo presto i sacchi fuori (regola vorrebbe dopo mezzanotte), alla rinfusa. Animali di varia specie banchettano. «Una volta non c’era la movida, era tutto più facile. Ora pulisci e ritrovi sporco in un minuto», dice Maurizio, ramazza alla mano. Tra romani e fratini arancioni non corre buon sangue, ormai, gli animi sono esasperati. «Spesso ci insultano», sospira Efficace, «il nostro tallone d’Achille sono le discariche, se le macchine sono piene il servizio rallenta perché non riusciamo a scaricare. Stiamo in strada con queste divise e la gente se la prende con noi. Ma siamo vaccinati».

Ammettiamolo, non è un lavoro per educande raccattare ogni giorno 4400 tonnellate di rifiuti, un milione e 600 mila tonnellate l’anno (di cui 874 mila di rifiuti indifferenziati) su un’area grande sette volte Milano e col triplo degli utenti (la raccolta porta a porta per tutti, mi dicono, costerebbe troppo). Sarà per questo che tanti si danno malati. Gli ultimi 200 «miracolati e risorti» per paura della visita fiscale ancora ci indignano, dico. «Colpa del Covid che ha fermato tutte le visite, i casi si sono accumulati. Poi ci sono le mele marce», mi rispondono.

Il nostro Squaletto circumnaviga Campo de’ Fiori, i ragazzi in fratino arancione zigzagano tra mele marce non metaforiche del mercato, cartoni, cassette, con pale e ramazze. I fidanzatini si baciano sulle panchine, indifferenti, almeno non ostili, l’amore aiuta, si capisce. C’è stato un tempo che era diverso. «Trent’anni fa ti fermavano per offrirti il caffè. Una pasticceria vicino piazza Tuscolo ci chiamò all’alba e quando arrivammo ci accolse con le pastarelle appena fatte per colazione. Periodo d’oro», ricorda Efficace: «Ma prima c’era una sola frazione. Con la differenziata sono aumentate le difficoltà». È un grande vorrei-ma-non-posso, la raccolta della spazzatura a Roma: l’incontro impossibile tra un servizio tuttora destrutturato e un’utenza da sempre priva di senso civico. All’angolo di Sant’Agnese in Agone ristoranti e gelaterie accelerano pur di chiudere, buttano tutto a terra alla rinfusa, carta, frutta, plastica. Irene, 30 anni, da dieci all’Ama, carica i sacchi ancora con orgoglio: «Mi fa effetto raccogliere ‘sta roba accanto a Bernini e Borromini».

Già gli 007 sono in azione. Dall’altro lato di piazza Navona rispetto alla prima discarica clandestina, al piano terra di palazzo De Cupis, il ristorante Quattro Fiumi ha già chiuso. E sul suo marciapiede fanno bella mostra sei sacchi, da uno dei quali tracima il mix cartacce e umido. «Non si presenta bene», sogghigna l’accertatore Luciano. Guanti e mascherina, lui e il collega cominciano a sezionarne il contenuto davanti a noi. E, tac, tra bucce d’arancio e torsoli di pera saltano fuori sei scontrini del locale, la famosa prova. Siamo lì da cinque minuti quando sbuca dall’ombra un omone, camicia bianca, accento calabrese.

Parla come fosse il proprietario o il gestore: «Io non l’ho buttato!», sbuffa, negando l’evidenza.

«Beh, noi però l’abbiamo trovato qui», allarga le braccia Luciano.

«Andate cento metri qua dietro: là buttano di tutto. Perché ve la pigliate con me?», insiste quello, ora in modalità delazione.

Forse scorgendo me che prendo appunti e Guaitoli cha scatta foto, entrambi col fratino dell’Ama addosso, si surriscalda, temendo chissà quale inquisizione aggiuntiva.

«È colpa dei dipendenti!», si giustifica: «Io glielo dico sempre, a ‘sti disgraziati!».

«Allora noi le facciamo il verbale e poi lei può rivalersi su di loro».

«Verbale? Ma quale verbale? Io non ho buttato niente», s’inalbera. E a questo punto fa una mossa incredibile: afferra di scatto il sacchetto incriminato dalle mani dell’accertatore Luciano, si ritira precipitosamente verso il suo locale e dice: «Vedete? Io non l’ho buttato, me lo porto a casa!».

«No, lei l’ha buttato, noi l’abbiamo trovato qua davanti», gli obiettano, «le manderemo il verbale».

Quello non se ne dà per inteso. Posa il sacchetto sull’uscio e comincia a fotografarlo col cellulare, per mostrare che lo teneva ancora con sé all’ora indicata dal display, col chiaro intento di precostituirsi un alibi anti-multa.

Metastasio nella mondezza

«E questa è una situazione tranquilla, ci sono quelli che minacciano…», mi dice ridacchiando l’accertatore Edoardo.

Cambiando Squaletto ci accoglie Federica, ottimista: «Mi piace questo lavoro, mi piace essere utile a Roma». Sì, spesso li insultano, dice, ma succedono anche cose belle: «C’era una discarica in via delle Vasche, a Monti. Oh, un tipo è uscito di casa, s’è messo i guanti ed è venuto ad aiutarmi». Che sia una ragazzona dai boccoli biondi e dal sorriso contagioso potrebbe non essere stato ininfluente.

La notte avanza. Via dei Cappellari prima era sede Ama, adesso è buio e tanfo. A due passi, lo splendido Arco di Santa Margherita, col portico medievale. Metastasio è nato nel palazzo di fronte, da lì improvvisava versi a tema attirando la folla. Ora i tossici vengono a bucarsi nella mondezza. Perché è una discarica famigerata, questa: e ostinata. «Ci passiamo quattro volte al giorno, tiriamo su tutto e dopo un’ora è come prima». Qualche giorno fa c’erano due materassi e una rete, una stanza da letto dismessa. Adesso grandi tavole bianche, una porta scassata, cibo avariato, appena sotto la targa del 1733 in cui «l’illustrissimo presidente delle strade» prometteva pene «anche corporali» per chi abbandonasse immondizia «sotto al presente arco»: 289 anni di minacce vane. Perché alla fine la città fa spallucce, egoista e piaciona, menefreghista e bonaria. È sé stessa «quanno è zozza», recitava Proietti nei Sette Re di Roma. Uguale nei secoli. Solo, al posto delle aquile dei Cesari, i gabbiani del suburbio che ha divorato l’Urbe: ti aspettano protervi sulla via del rientro, padroni del nuovo giorno sui cassonetti scassati. E se li guardi troppo ti fanno: embè?

13 novembre 2022 (modifica il 13 novembre 2022 | 22:02)

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, 2022-11-13 21:23:00, Discariche pirata tra le opere di Bernini e Borromini. «Noi puliamo, dopo un’ora tutto è come prima». I trasgressori scovati: «Questo? Non l’ho buttato io», Goffredo Buccini

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