Vidi Scorsese sul set abbracciare DiCaprio e capii il suo segreto

di Donato Carrisi

Il ritratto d’autore di Donato Carrisi che racconta il regista: Lui era a Cinecitt, mi ero imbucato. Durante le riprese si voltava verso le retrovie, scrutava i presenti: stava gi studiando il pubblico

C’ un’inquadratura in Gangs of New York che riassume perfettamente l’idea di cinema come artigianato, propria di Martin Scorsese. La durata di appena pochi secondi — tre, per l’esattezza — ma sono considerabili alla stregua di un codice estetico e di una rivoluzione. La scena in questione quella dello scontro iniziale fra le due fazioni capitanate da Daniel Day-Lewis e Liam Neeson. Scorsese vuole far letteralmente precipitare la macchina da presa all’interno del combattimento. Nella sua testa, la ripresa deve partire dall’alto, con un’ampia inquadratura che comprenda il campo di battaglia e i due schieramenti, per poi scendere improvvisamente al livello del suolo, tra il fragore delle lame, le urla, lo spezzarsi delle ossa e lo squarciarsi delle carni. Ma non gli basta. Vuole trasmettere allo spettatore la forza d’urto che si sprigiona quando i due eserciti entrano in contatto e, contemporaneamente, fissare l’istante in cui le vite sono ancora intatte, i corpi ancora integri e il vigore dei guerrieri non provato dalla fatica. Perci la partenza del movimento dall’alto verso il basso della macchina da presa deve necessariamente coincidere con l’inizio dell’attacco e questa deve toccare terra nell’istante esatto dell’impatto fra gli schieramenti.

I tempi perfetti

Impossibile. Troppe variabili devono coincidere alla perfezione. Troppe azioni devono avvenire a intervalli di tempo cos precisi, ma anche cos brevi, che folle pensare di accordarle fra loro e, soprattutto, con la macchina da presa. Oggi si risolverebbe tutto con un computer. Ma anche oggi, Scorsese difficilmente delegherebbe un’impresa simile a dei microchip. Per, siccome l’inquadratura impossibile esiste e non frutto di effetti digitali, abbiamo il dovere di chiederci come sia stato compiuto un simile prodigio. A questo punto, siccome ci troviamo a Cinecitt, il mito prende il posto della sterile cronaca. E la leggenda narra che i macchinisti italiani impiegati sul set abbiano chiesto a Scorsese una notte di tempo per creare un braccio meccanico capace di realizzare quel movimento inverosimile della macchina da presa.

Tramezzini

Mentre tutto questo avveniva, io c’ero. Giovane sceneggiatore squattrinato, appena trasferitosi a Roma, avevo trovato il modo di intrufolarmi su quel set per vedere all’opera uno fra i geni che con la sua arte mi aveva spinto a rinunciare a una sicura carriera d’avvocato. Grazie a uomini come lui, i tramezzini tonno e pomodoro con cui cenavo praticamente da settimane avevano il sapore dolcissimo della speranza. Avevo intenzione di vederlo all’opera ma in realt, siccome ogni set risponde a una rigida divisione per cerchi, ciascuno occupato da una precisa casta professionale, dalle retrovie in cui ero confinato di Martin Scorsese avrei visto soprattutto la nuca. Per, anche da laggi, potevo coglierne i gesti. Gli storyboard fra le sue mani, molti dei quali disegnati da lui stesso, in cui aveva momentaneamente appuntato la forma delle immagini che di l a poco avrebbe evocato davanti all’obiettivo. Il modo di approcciarsi agli attori in scena. Per esempio afferrando il polso di Daniel Day-Lewis ogni volta che voleva dargli indicazioni, usando sempre un tono stentoreo per cui non si capiva esattamente se stesse parlando realmente con lui oppure con il personaggio di Bill il Macellaio. L’attenzione riservata a Cameron Diaz o il braccio sulla spalla di DiCaprio, creando un contatto intimo ed esclusivo con entrambi. In quegli approcci c’era il regista che dice all’attrice o all’attore sono qui per te.

Rinascere

Pi lo osservavo, pi mi domandavo dove fossero celati il misticismo di Taxi Driver, l’epica naif dei Goodfellas, l’istinto profetico di The King of Comedy . E come potessero convivere in un solo artista cos tante visioni. Perch il Martin Scorsese che mi trovavo davanti era lontano anni luce dai suoi film precedenti, tanto da sembrare un altro regista. Le sembianze erano identiche, ma era come se la sua anima si fosse rinnovata. E allora ho compreso che questo avveniva ad ogni nuovo copione. Per un regista, fare un film come rinascere ogni volta. Ma non immortalit. Perch, quando tutto compiuto, quando l’opera approda sul grande schermo, necessario morire per dare inizio a un nuovo ciclo. Nascere e morire. Morire e nascere. Il destino tragico e insieme la ricompensa di un regista. Altro aspetto su cui mi sono interrogato a lungo era perch Scorsese avesse deciso di venire a Roma per girare un film che omaggiava le origini della sua citt, New York. Non era abbastanza convincente il motivo per cui di quell’antichissima Manhattan dominata dalle bande non esistessero pi testimonianze architettoniche, tranne che nei dipinti di Catlin, e che pertanto il film poteva essere realizzato anche lontano da l. Ma allora perch non a Hollywood? Qualcuno sosteneva anche che, il regista che aveva avuto il merito di portare l’Italia in America, adesso restituiva il favore portando l’America in Italia. La ragione della scelta, invece, custodita in quei tre preziosissimi secondi di cinema.Scorsese lo sapeva dall’inizio. Solo a Cinecitt — con le sue maestranze, con l’energia viva del suo passato — le imprese impossibili diventano possibili. Quel miracolo di tecnica e di fantasia poteva avvenire solo in quel tempo e solo in quel posto. Provate a immaginarvi Dante Ferretti che, con un gesto magico, disegna per aria con un dito il miglio di una Manhattan ottocentesca che poi, grazie a carpentieri, pittori, arredatori, attrezzisti, diventer la scenografia del film.

Lo sguardo

E poi c’ un altro aspetto, ascetico, da non trascurare. Lo avrei capito molti anni dopo, vedendo entrare Dustin Hoffman sul set de L’uomo del Labirinto, al Teatro 8. Lui che non aveva mai recitato a Cinecitt e che aveva rifiutato, pentendosi, un film con Fellini, si muoveva come fosse in chiesa, guardandosi intorno con rispetto e devozione. E in seguito mi confid che, proprio lui, un famoso perfezionista, sentiva una sorta di responsabilit ulteriore a recitare in quei luoghi. Una specie di dovere morale nei confronti di tutto il cinema che era passato da l e di tutti i colleghi che l’avevano preceduto. A Cinecitt gli attori sono spinti a dare il meglio di s. Anche questo era chiaro a Scorsese. In quei giorni da intruso su quel set, ogni tanto vidi il regista ripetere un gesto spiazzante. Nel bel mezzo delle riprese, si disinteressava alla scena per voltarsi verso le retrovie. Scrutava per qualche istante le facce dei presenti, poi tornava a dedicarsi ai suoi attori. Il film non era ancora finito, ma Scorsese stava gi studiando il pubblico.

12 febbraio 2023 (modifica il 13 febbraio 2023 | 00:24)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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