Sempre più frequenti sono gli episodi di violenza a scuola, è perché è aumentata l’attenzione verso questi fenomeni o c’è un disagio crescente nei nostri ragazzi che porta a questi gesti estremi? Ne abbiamo parlato con il Dottor Luigi Pietroluongo, Sociologo, Psicologo, Formatore e Coach.
Dottor Pietroluongo, la cronaca ci parla di diversi episodi di violenza a scuola, ci spiega perché sono in aumento questi fenomeni e cosa sta accadendo ai nostri ragazzi?
Questi fenomeni andrebbero studiati nelle sedi opportune perché il rischio è sempre quello di generalizzare o di avere degli osservatori troppo piccoli, anche se significativi, su cui si possono fare delle elaborazioni. Sarebbe interessante raccogliere i dati a livello nazionale e rielaborarli. Credo che l’aspetto legato all’emulazione, che riguarda ogni fase della nostra vita ma è più significativa soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza, ha un aspetto rilevante. Noi subiamo in maniera forte l’emulazione delle persone che frequentiamo, sia di persona che sui social, oppure dei personaggi che vediamo ad esempio nei film. È un fenomeno che è sempre esistito dove l’emulazione era verso il cantante, l’attore ed oggi anche l’influencer.
Non dobbiamo dimenticare che i nostri figli ci guardano sempre, quindi il punto vero, il focus, non credo che sia sui ragazzi ma sugli adulti, o meglio sulla società violenta degli adulti. Basta osservare il fenomeno degli “haters” sui social, i famosi leoni da tastiera, che è un fenomeno abbastanza inquietante. Sono principalmente adulti che usano l’insulto come strumento di interazione. Quindi la domanda è “che cosa stanno guardando i bambini e gli adolescenti, quali adulti stanno vedendo”, e questi adulti, cioè noi, stiamo in una dinamica di crescita permanente? Perché è questo il punto, nessuno di noi può essere immune dalle sue ombre, dalla sua umanità, ognuno di noi porta le sue contraddizioni.
Quello che possiamo fare è continuare a crescere umanamente come persone, quindi andare a cercare libri, amici ed esperienze che ci aiutino a migliore nel tempo e ci permettano di reagire diversamente, in maniera migliore, agli eventi della vita. Quindi il focus non è sui ragazzi ma sugli adulti. Dove c’è una forte trasgressione, dove gli adolescenti manifestano episodi anche molto gravi di violenza, c’è chiaramente un’esplorazione da fare rispetto a quello che è il nucleo familiare dove è cresciuto. Purtroppo sono aspetti quasi sempre collegati, non vorrei dire che è un’equazione matematica perché l’educazione non lo è, per fortuna, in quanto intervengono moltissime variabili nella crescita. È chiaro che l’esplorazione deve partire dalla famiglia e se necessario bisognerebbe intervenire con altre figure, perché il docente, che ha già tante responsabilità, ovviamente molte legate alla didattica, non può occuparsi di tutto, quindi figure come ad esempio l’assistente educativo o lo psicologo vanno da supporto al ragazzo, ai legami ed alle relazioni significative del ragazzo fuori la scuola. È lì che bisogna costruire dei veri e propri piani educativi.
Lei lavora sulla gestione dei conflitti e dello stress, ci aiuta a capire come prevenire i fenomeni di violenza a scuola?
Intanto bisognerebbe lavorare su delle classi eterogenee perché bisognerebbe fare esperienze con i ragazzi durante il corso dell’anno scolastico ed anche imparare a conoscerli. Si potrebbero profilare, con un vero e proprio progetto educativo, le qualità che ogni ragazzo sta manifestando, la sua unicità educativa. Credo che queste siano le leve. Voglio ritornare sull’aspetto legato all’impegno ed alla responsabilità dei docenti, perché gli insegnanti, che lavorano con grande impegno e dedizione, sono troppo carichi, carichi nell’esecuzione del loro programma e nella didattica oltre ad altri vari adempimenti.
Quindi affiancargli altre figure permette di costruire dei profili per ogni ragazzo, che si completano e si perfezionano con il passare del tempo, come fossero dei puzzle, dove si definiscono le qualità di ogni ragazzo. A quel punto bisogna investire su delle attività nella scuola, ma anche al di fuori, dove fare esperienza di queste qualità, cioè capire come valorizzarle in attività didattiche ed extradidattiche. Rispetto alla scuola di 25 o 30 anni fa tante cose già si fanno, probabilmente andrebbero maggiormente valorizzate quelle figure nuove nella scuola a cui ho accennato in precedenza, ovvero lo psicologo e l’assistente educativo, che diventerebbero dei veri e propri partner dei progetti educativi dei ragazzi.
In questi progetti ci sono certamente le competenze scolastiche di base, che vanno acquisite, ma oltre a queste non dobbiamo dimenticare quelle legate alle soft skills, le competenze di relazione e di comunicazione, che essendo appunto delle abilità devono essere conosciute, allenate e valorizzate ed i ragazzi ne devono diventare consapevoli, attività dopo attività. Credo che l’insieme di tutte queste competenze possa anche abbassare il livello di conflitto. Un altro aspetto è legato a quello che tante scuole già fanno, ovvero delle esperienze in maniera similare a quelle che fanno le aziende, il team building, dove si svolgono attività fuori della scuola. Ne è un esempio le attività che molte scuole svolgono a Policoro, in Basilicata, dove i ragazzi fanno esperienza di vela o canoa e questo fare sport insieme, qualsiasi sport sia, permette di cooperare, costruire, mettere insieme un’esperienza e di vedersi in modo differente rispetto all’aula, al contesto scolastico.
Questo permette di abbassare delle pressioni e scoprire dei lati nuovi dei propri compagni di classe che solitamente, negli schemi abituali dell’aula, non si vedono. Sono attività che incentiverei moltissimo, non lasciandolo solo all’esperienza legata alla gita scolastica, ma là dove fosse possibile, all’interno di un’offerta formativa pensata e strutturata, sarebbe importante creare un incontro esterno alla scuola mensilmente dove poter fare insieme diverse esperienze che poi vanno rielaborate e raccontate ai professori, ai genitori e ai loro amici. Rielaborando questa esperienza fatta, magari sporcandosi le mani insieme in un laboratorio di pasticceria o condividendo altre esperienze, si impara a costruire la relazione del gruppo all’interno della classe. Non è un caso che le aziende, che sono dei contesti dove ci sono pressioni più forti, continuino ad esercitarsi su questo tipo di attività.
Quando un ragazzo compie un gesto di violenza, soprattutto se in ambito scolastico, facilmente si accosta subito la parola bullismo. Questa semplificazione non è corretta, ci spiega la differenza tra gesto di violenza e bullismo?
Il bullismo è una parola che è entrata nel linguaggio comune, direi fortunatamente in alcuni casi. Tutti parlano del bullismo, genitori, professori e via dicendo, ma il bullismo è normato, nel senso che ci devono essere delle caratteristiche precise per identificarlo come tale. Sono 4 le caratteristiche che lo definiscono, che lo circoscrivono, è sono l’intenzionalità del bullo, la persistenza nel tempo, quindi non il singolo dispetto che è sempre esistito nei normali micro-conflitti della classe, l’asimmetria di una relazione, nel senso che generalmente sono più persone, più bulli, che agiscono nei confronti di uno, e soprattutto, dall’altra parte, abbiamo, per varie ragioni, la persona che non riesce a difendersi.
Quindi vedete che ci sono 4 caratteristiche molto precise. Certamente esistono episodi di bullismo, ma non tutto è bullismo. Su questo bisogna avere formazione specifica, grande esperienza e molto buon senso. Soprattutto quest’ultimo aspetto è importante, perché nell’epoca dell’iperprotezione dei genitori tutto assumerebbe una forma di bullismo, compresi i singoli dispetti o i micro-conflitti all’interno della classe. È fondamentale nell’infanzia, ma anche nell’adolescenza, fare esperienza delle frustrazioni.
Questo è un ambito decisivo perché non ci sono libri che ci preparano alle frustrazioni della vita, e se quindi non ci alleniamo al dispetto, al piccolo tradimento, all’amarezza, non avremo gli strumenti per fronteggiare queste difficoltà. Se ripensando al nostro percorso ricordiamo un momento di frustrazione vissuto, con tutte le negatività che ci hanno attraversato, ecco che quell’esperienza ci ha permesso di identificare la frustrazione stessa, di conoscerla e di trovare le risorse dentro di noi per poter rispondere. Questo oggi avviene sempre meno e spesso troviamo, a 25/30 anni, dei laureati brillanti, super masterizzati, che entrano nel mondo del lavoro e ai primi conflitti, che sono naturali in un ambiente di lavoro, entrano in crisi perché questa iperprotezione non gli ha consentito di addestrarsi e allenarsi a queste situazioni.
Quindi attenzione sul bullismo ma non solo. Sappiamo che in ogni scuola c’è un referente sul bullismo ed è importante che il referente si confronti con i suoi colleghi per esaminare se ci sono le caratteristiche e prontamente intervenire, vanno inoltre sempre monitorati i dispetti o altri micro-conflitti per capire, grazie a competenza, esperienza e buon senso, qual è il limite “sano” di questa micro-conflittualità e quando invece bisognerà intervenire come adulti, come docenti, e poi con le famiglie.
Un’ultima domanda, generalmente la punizione per atti violenti è la sospensione da scuola, il Professor Galimberti reputa sbagliato questo approccio, anzi, suggerisce la necessità di una maggiore azione educante, lei cosa ne pensa?
Contraddire Galimberti, che è uno dei più grandi psicologi e psicoanalisti italiani, è un’impresa ardua. Non saprei rispondere sull’iniziativa della sospensione, almeno in modo così generico, perché vanno valutate anche la gravità, l’intensità e la frequenza degli episodi violenti che un giovane sta avendo nel contesto scolastico. Credo, invece, che sia assolutamente essenziale il contenimento, non la punizione, cioè delle azioni che vadano a contenere questa possibilità irruenta e violenta del ragazzo che può portare a fare del male a sé stessi o agli altri.
Quali sono queste azioni di contenimento? È difficile generalizzare, di volta in volta, a seconda dell’intensità, della gravità, ma anche secondo la frequenza degli episodi, bisogna pensare e studiare le azioni di contenimento specifiche in merito alla situazione. Qual è la difficoltà è la grandezza dell’educazione, è che il contenimento coesiste con l’azione educativa, con la valorizzazione. Si tratta di una vera e propria fisarmonica, si stringe, dando dei limiti, e poi si riallarga. Non è pensabile né non avere limiti e contenimento, né non avere delle altre azioni per dare nuove ed altre possibilità valorizzando la piccola leva educativa che riusciamo a trovare nella persona. Credo che questa sia la nostra grande sfida come educatori, come insegnanti, come genitori e come studiosi di questa meravigliosa arte che è quella dell’educazione.