La questione del voto in condotta continua a far discutere il mondo nella scuola.
Ne parliamo in questa intervista a Dario Missaglia, presidente della Associazione professionale Proteo Fare Sapere.
Sembra che il ministro Valditara abbia deciso di dichiarare guerra al ’68. Perché secondo lei?
L’ossessione del Ministro è ormai chiara: l’Italia deve essere liberata dai postumi della rivoluzione del ’68 che è la radice di tutti i mali. A chi gli fa notare sommessamente che il ‘68 è oramai passato remoto e che ben diverse iatture si sono realizzate nel mondo e nel nostro Paese, lui non arretra di un passo e rilancia: serve una sana iniezione di ordine, severità, punizioni adeguate al male che avanza in questa “società allo sfascio”.
E quindi?
Un po’ troppo semplicisticamente, il Ministro dispone che torni al più presto il voto in condotta, quello in decimi (si capisce meglio, a suo dire), in modo che il mascalzone di turno sia bocciato con il cinque, fin dalla scuola media; alle superiori, in caso di voto 6, rinviato a settembre con esame di educazione civica e penalizzazione certa del credito per la maturità. Altro che “statuto dei diritti delle studentesse e degli studenti”.
Ma davvero gli studenti sono allo sfascio?
Tra scuola media e superiori, in Italia ci sono circa quattro milioni e mezzo di studenti. Ci vuol dire il Ministro sulla base di quanti minori responsabili di atti violenti (nei confronti dei propri compagni, dei docenti, degli arredi e strutture) in questo anno o nel 2022, ha deciso questi provvedimenti? Dal Ministro, ad oggi, nessun dato è pervenuto.
Resta il fatto che gli stessi insegnanti lamentano spesso il fatto che molti studenti hanno comportamenti inadeguati.
Va detto che gli studenti hanno iniziato la scuola con alle spalle l’esperienza covid: un dramma che li ha privati di oltre due anni di relazioni, rapporti con il mondo, con le amicizie e con la scuola come luogo significativo della propria crescita. Chi era in difficoltà prima del covid ha visto crescere i suoi problemi e ne porta ancora i segni.
Su tutto ciò il Ministro non ha espresso una sola parola né tantomeno un indirizzo o un messaggio da rivolgere alle scuole affinché la preoccupazione prima fosse quella di ricostruire i legami, le relazioni educative, il superamento di traumi e dolori sofferti.
Lei vuol dire che dovremmo ascoltare di più i giovani?
Direi di sì, Forse anche il Ministro capirebbe di più i fenomeni di autolesionismo, di chiusura all’ascolto, di paura dell’altro, di overdose da computer. E anche di reazioni violente, casuali e inquietanti (gli scontri convocati via chat, le bande giovanili, ecc.). Forse capirebbe quanto sarebbe importante pensare e realizzare non evanescenti figure inventate a tavolino ma una struttura di supporto alle scuole, ben radicata nell’ambito dei Comuni e solida anche sul piano sanitario (proprio quella medicina scolastica territoriale cancellata in questi anni di demolizione della sanità pubblica), per sostenere le scuole e il territorio nella cura e il recupero dei casi più difficili anche avvalendosi dell’aiuto di specifiche professionalità (il pediatra, lo psicologo, il medico, il pedagogista ecc.).
In una parola bisognerebbe mettere al centro la cultura della cura, della riabilitazione: parole che questo Ministro non pronuncia perché non gli appartengono, confermando così la sua estraneità al mondo della scuola.
Ci sono comportamenti degli studenti che vanno al di là del 5 in condotta perché sono veri e propri reati…
Sì, ma in questo caso si potrebbe fare una operazione educativa importante.
Quanti ragazzi sanno che dai 14 anni sono soggetti imputabili e che questo comporta responsabilità importanti? Perché a partire dalle aree più a rischio non si promuovono progetti tra scuole e Tribunali per i Minorenni, per far incontrare i giudici con gli studenti e far crescere una cultura della cittadinanza, della legalità
C’è poi un problema di rapporti con i genitori…
Che il problema sia complesso e che il 5 in condotta non sia risolutivo lo ha capito di recente persino Luca Ricolfi che, appoggiando ovviamente l’operato del Ministro, riconosce che, nel consenso che questa impostazione punitiva riscuoterebbe tra i genitori, c’è un messaggio inquietante: puniteli perché noi non siamo capaci di educarli. Ha ragione Ricolfi in questa lettura ma non tira la conclusione giusta. Nella scuola c’è il “patto di corresponsabilità” che può servire per aiutare tutti, genitori, insegnanti e studenti, a costruire quella comunità in cui imparare a rapportarsi con un mondo che cambia sempre più velocemente.
Quale risposta intendete dare in questa fase?
Secondo noi, proprio nel centenario di don Milani e Bruno Ciari,va rifiutata la svolta autoritaria che il Ministro vuole imporre. È questo che ci attendiamo dalle scuole, docenti, studenti, genitori, in questi mesi, per affermare che “un’altra scuola è possibile”. È anche per questo che, insieme con tante realtà associative, saremo in piazza con la Cgil il 7 ottobre.
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