di Giulio De Santis e Fulvio Fiano
Parla l’indiano picchiato dai fratelli Bianchi un anno prima del delitto di Colleferro
Due anni fa a Colleferro veniva ucciso Willy Monteiro Duarte, il 21 enne di Paliano colpito a morte con calci e pugni durante una rissa nella quale non era coinvolto. Due mesi fa per l’omicidio la corte d’Assise di Frosinone ha condannato all’ergastolo i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, a 23 anni Francesco Belleggia e a 21 Mario Pincarelli. Ma l’emozione per quel delitto è ancora viva.
Lontani dall’attenzione mediatica, Lucia e Armando, i genitori del ragazzo che studiava da cuoco e sognava di fare il calciatore, lo ricorderanno oggi con una cerimonia privata e una messa a Paliano assieme all’altra loro figlia, Milena, che oggi ha 20 anni. Una riservatezza e una dignità che hanno sempre mantenuto e che li ha aiutati a superare i momenti più difficili e a guardare in faccia durante il processo gli assassini di loro figlio, senza mai lasciarsi andare a una parola di odio. La morte di Willy è diventata un esempio di solidarietà e altruismo riconosciuta anche dalla medaglia al valor civile attribuitagli dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a un mese dal delitto.
E mentre le difese degli imputati preparano le proprie mosse in vista del deposito delle motivazioni della sentenza contro la quale hanno già annunciato ricorso (i fratelli Bianchi hanno nominato tre nuovi avvocati anche per il ricorso pendente in Cassazione per una condanna per spaccio a 4,6, anni), da un altro processo riemerge un episodio citato anche dalla procura di Frosinone per descrivere il modo di agire dei due fratelli di Artena, protagonisti di pestaggi che secondo i pm non avevano altra motivazione se non quella di «affermare la loro forza».
«Violenti e cattivi. Mi hanno picchiato senza motivo. Erano ubriachi, feroci, matti. Ho avuto paura di morire. Mi hanno rotto il naso e incrinato l’orbita dell’occhio destro. I segni delle loro botte me li sono portati addosso per settimane»: così li descrive Deepack Kumar, indiano, 41 anni, da 13 anni in Italia, che ha incrociato i due «gemelli» lottatori di Mma la sera del 13 aprile 2019 in via Madre di Calcutta a Velletri.
«Sto andando al supermercato con due amici — continua l’uomo —, quando una Mini per poco non ci investe. Gli grido di fare attenzione. Quelli fanno inversione. Accetto le scuse ma dico che devono fare attenzione. Non pronuncio parolacce. Non li offendo. Eppure, escono dall’auto in quattro. Tre mi picchiano. Due sono i fratelli Bianchi — nel processo in corso a Velletri sono imputati di lesioni gravi — li ricordo bene. Grossi, tatuati e cattivi. Mi danno calci e pugni senza mai fermarsi. Se ne vanno quando sono ormai a terra, immobile». Di quegli attimi ricorda anche altro: «Ho avuto paura di morire. Di non rivedere mai più mia moglie e mia figlia».
Ad aiutarlo sono i due suoi connazionali che erano con lui: «Per miracolo sono ancora vivo. Willy non ha avuto la mia stessa fortuna. Non so se per quello che mi hanno fatto avrebbero dovuto essere arrestati. Però dopo tanta violenza, qualcuno avrebbe dovuto fermarli. Quando ho saputo che avevano ucciso Willy, non sono rimasto sorpreso». Una cosa Kumal ci tiene a dirla: «Sono stato contento del loro arresto, perché il mondo mi è parso un posto più sicuro. Non mi hanno mai cercato, ma la paura è finita soltanto quando ho saputo che erano in carcere».
Fra chi lo ha aiutato c’è Jaspret Singh, 30 anni: «Ricordo tutto di quella sera. Erano grossi, violenti e cattivi. In tre si sono avventati su Kumal. Un pezzo di pane. Che vigliacchi». Singh ha scattato la foto all’auto che ha permesso di incastrarli: «Ho fatto il mio dovere, ho aiutato un amico». Proprio come Willy, che cercava di tirar via dalla rissa un suo ex compagno di scuola.
5 settembre 2022 (modifica il 5 settembre 2022 | 23:05)
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, 2022-09-05 21:13:00, Parla l’indiano picchiato dai fratelli Bianchi un anno prima del delitto di Colleferro, Giulio De Santis e Fulvio Fiano